PIU’ FORTI DELL’ODIO

Assassini da un lato, vittime dalla parte opposta. Anzi, di più: l’uno accanto all’altro, cercando di trovare insieme la strada del riscatto, del perdono: una vita nuova. Non è la sceneggiatura di un film, ma la difficile e al contempo entusiasmante esperienza di Prison Fellowship Italia, tra le cui esperienze spicca il Progetto Sicomoro che propone percorsi comuni all’interno delle carceri dove si incontrano detenuti e vittime di reati.

Nicoletta ha poco più di vent’anni, suo fratello è stato ucciso, né il mandante né l’esecutore sono noti. “Spezzare la vita di un ragazzo due mesi dopo che ha compiuto 18 anni non è un’azione da uomini d’onore come loro si definiscono, ma da vigliacchi, è ingiusto. Non credo di poter ancora perdonare le persone che hanno fatto questo”. La parola ‘vigliacchi’ rimbomba nelle orecchie e nei cuori del gruppo riunito. Nicoletta trabocca di dolore, si sente in colpa perché a morire è stato suo fratello e non lei, la primogenita. Un’unica domanda le martella il cervello: “Eravate consapevoli del male che avreste fatto?”. Tutti i presenti sono in difficoltà davanti a una ragazza così giovane ma tanto sofferente.

Anche Salvatore, un detenuto di Milano condannato all’ergastolo prende la parola: “Questa notte non ho dormito. Avevo paura di incontrarvi e di farvi soffrire”. A guardarlo sembra un simpatico orsacchiotto, invece è un killer. È stato arrestato quando la figlia aveva poco più di 18 mesi, ora ne ha quasi venti, è lei il giudice più severo per Salvatore. “Non ero consapevole, non avevo idea della gravità del reato che ho commesso. Solo così, vedendo in faccia il vostro dolore noi possiamo capire. Io ne ho ucciso uno. Ho fatto del male a centinaia di persone”.

I passi del Progetto Sicomoro ripercorrono il crimine, esaminano la responsabilità, portano alla confessione e al pentimento che sfociano nel perdono. Il frutto di questo percorso è la riconciliazione con la propria storia. Il lavoro che si porta avanti è basato sulla giustizia riparativa, aiuta vittime e carnefici a vedere la sofferenza nell’altro per poter costruire sulle ceneri di una vita distrutta dal crimine.

L’iniziativa di Prison Fellowship che in Italia è gestita dal Rinnovamento nello Spirito Santo, si è rivelata negli anni un vero schiaffo per chi pensa che il perdono non possa lenire le ferite più profonde. Ma quella di Nicoletta e Salvatore non è l’unica storia, anche Teresa e Mario nell’istituto penitenziario di Tempio Pausania hanno sperimentato la liberazione dalla paura e dall’odio. “Lo perdonerò solo quando lui sarà veramente pentito e chiederà scusa” sussurra la donna riferendosi all’assassino del figlio che durante il processo “si vantava di quanto fatto”. Mario, un detenuto di grosso spessore, uno degli irriducibili nell’ascoltare queste parole si sente profondamente toccato.

Si inginocchia davanti a Teresa e guardandola negli occhi dichiara di pentirsi di tutte le sue colpe, abbassa il capo e con voce chiara ma scossa dice: “Chiedo proprio a lei di perdonarmi”. Con calma e serenità la donna accoglie il detenuto in un abbraccio inaspettato, un gesto capace di restituire la vita, la dignità, la possibilità di ricominciare. E anche la sua anima fa un piccolo ma significativo passo avanti.

Toccare con mano un dolore tanto profondo fa breccia nel cuore, non si può rimanere impassibili. Il percorso dura diverse settimane e le testimonianze sono immediate. Tornando a Salvatore, dopo un tempo di cammino con il progetto Sicomoro scrive a Nicoletta: “La presunzione mista all’ignoranza sono alla base della malvagità di alcuni, come è stato per me in passato, a discapito di altri. Oggi sono certo che non esistono motivazioni, neppure lontanamente che possano giustificare in qualche modo quello che ho fatto. Grazie per la lezione di umanità che mi avete impartito e per avermi concesso, seppure in parte, di condividere il vostro dolore”.

Successivamente la stessa Nicoletta deciderà di scrivere ai reclusi del carcere: “Mi siete entrati nel cuore, sul serio, perché pur avendo sbagliato avete avuto il coraggio di cambiare, di ammettere le vostre colpe e di uscire dal tunnel che vi avrebbe ulteriormente rovinato la vita. State pagando le vostre colpe con una dignità e umanità che vi fanno onore, mi avete fatto scoprire un universo umano diverso da quello che ho sempre conosciuto. All’inizio ero scettica sul progetto, oggi posso dire che questa esperienza si è rivelata la più significativa della mia vita”. Il dolore resta, arriva il perdono. Va via il veleno delle vendetta.

Ha collaborato Mary Ann D’Costa

http://www.prisonfellowshipitalia.it/