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Piccoli samurai in ospedaleCombattono la malattia con il karate

Per sua mamma la cosa più dolorosa è stato fargli capire che non sarebbe più tornato a scuola: “Non aver mai fatto un’assenza – racconta – era sempre stato il suo più grande motivo d’orgoglio. Poi sono subentrati l’isolamento e l’allontanamento da tutte le attività che prima erano quotidiane: lo sport, la famiglia, gli amici. Le sue difese immunitarie sono bassissime, e non può rischiare il contatto con persone e ambienti non sterilizzati”.

Flavio è un bambino difficile, spesso diffidente. Ha dieci anni e circa nove mesi fa gli è stata diagnosticata la leucemia. Da quel momento la sua vita si svolge tra le mura dell’ospedale Bambino Gesù di Roma e la sua cameretta, in cui però non può entrare nessuno. Ogni giorno, la lotta più grande che deve affrontare è quella contro il dolore: “E’ un bambino forte e consapevole – ci spiega sua mamma Elena – ma la malattia porta con sé una serie di conseguenze che fanno emergere rabbia e confusione. Di tanto in tanto, la sua mente ha bisogno di evadere da stress, monotonia e isolamento. E per fortuna, qui abbiamo trovato chi ci aiuta a farlo”.

Stare al fianco dei bambini che soffrono è più di un lavoro, è una missione. Due volte a settimana, Flavio e alcuni suoi compagni di ospedale si riuniscono nella ludoteca della struttura ospedaliera, e seguiti da una serie di esperti di arti marziali imparano a “prendere a calci” la loro malattia. L’onlus alla base di questa attività è Kids Kicking Cancer, nata negli Stati Uniti dieci anni fa e poi col tempo diffusasi in Canada e nel Bel Paese. Gli operatori di Kkc Italia si trovano anche all’Umberto Primo e al Gemelli, e quello che svolgono è un vero e proprio aiuto alla terapia medica: “E’ un’attività collettiva – spiega a Interris.it Giancarlo Bagnulo, istruttore e coordinatore di Kkc per gli ospedali di Roma – le arti marziali, oltre a creare uno spazio di socialità per i bambini, permettono loro di affrontare il cancro con disciplina e autoconsapevolezza. L’approccio, inoltre, è divertente perché si avvicina molto al loro immaginario: quello degli eroi, dei samurai, dei lottatori valorosi”.

Le lezioni si basano su tre attività fondamentali: l’esercitazione con il battitore, in cui il bambino colpisce un cuscino focalizzandosi su “tutte le cose che gli danno più fastidio”, uno schiaffo – anzi in questo caso un calcio – liberatorio contro la malattia; la visualizzazione, esercizio in cui l’insegnante evoca immagini rasserenanti ed evasive, e la respirazione diaframmatica: mezzo principale per aiutarlo a dominare il dolore.

“La disciplina delle arti marziali- – continua Giancarlo – li aiuta ad affrontare cure e terapie e migliora il loro approccio emotivo nei confronti della malattia. La cosa più soddisfacente, per noi, è veder crescere la loro capacità di controllare il dolore evitando gli antidolorifici”.

Ma la malattia di un bambino non è devastante solo per lui: dietro al suo dolore, infatti, si nasconde quello dei suoi familiari, che troppo spesso finiscono per isolarsi: “Ero spaventata, distaccata – spiega Elena – e conoscere altre famiglie mi ha permesso di approcciarmi a persone normali che vivono il mio stesso dramma. Condividere i dubbi, le incertezze e le paure ci ha portato a capirci anche solo con uno sguardo e in mezzo a questo terremoto emotivo, la loro presenza è spesso un punto di riferimento”.

 

Giulia Capozzi

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