Il decreto sblocca Italia sembra finalmente affrontare in modo corretto il problema del “catenaccio” burocratico che limita l’estrazione in Italia. L’articolo 71 del decreto rivoluzionerebbe il mercato in tre punti: a) rilascio di un «titolo concessorio unico», cioè un solo permesso per esplorare ed estrarre; b) autorizzazione mineraria concessa dallo Stato e non più dalle Regioni; c) attribuzione alla ricerca e coltivazione d’idrocarburi: di «Attività di pubblica utilità, urgenti e indifferibili».
La visione del governo Renzi appare di straordinaria importanza per lo sviluppo economico, sociale ed occupazionale dell’impresa Italia. Il territorio italiano è ricco di giacimenti petroliferi: in Basilicata, val d’Agri, c’è il più grande giacimento d’Europa su terra. Esistono importanti giacimenti in Adriatico, Abruzzo, Piemonte, Veneto, Lombardia. Nonostante la grande ricchezza l’attività dell’esplorazione in Italia è ferma da circa un decennio come correttamente lamenta Assomineraria. Tutto ciò avviene a causa di un disordine normativo sul piano autorizzativo che, finalmente, il decreto sblocca Italia pare risolvere.
Soltanto nel 2013 le compagnie petrolifere hanno versato royalty per 398 milioni e imposte per circa 1.250 milioni. Totale: 1,648 miliardi. Raddoppiando la produzione il contributo dovrebbe crescere in proporzione con enorme beneficio per lo sviluppo del nostro paese. In punto di diritto c’è da aspettarsi che le Regioni ricorreranno in Corte Costituzionale contro le modifiche normative ritenendo il decreto una violazione delle loro attribuzioni. La natura di “interesse nazionale” della politica energetica dovrebbe scongiurare il rischio che un pronunciamento della Corte finisca con l’avallare un disordine organizzativo che costituisce un limite esiziale per la nostra economia.
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