Occidente ipocrita
I BAMBINI LI ARMIAMO NOI

Come ogni altra aberrazione cui l’Africa ci ha abituati anche quella dei bambini soldato non vale un articolo di giornale, magari intriso di compassione o pietismo, se non inquadrato nel fenomeno più generale del neocolonialismo occidentale. Questa è l’opinione di Padre Giulio Albanese, giornalista, missionario comboniano, già direttore del New People Media Centre di Nairobi e fondatore del Missionary Service News Agency (Misna). Uno che di baby soldiers ne ha conosciuti molti. Al netto delle immagini di ragazzini che portano in spalla fucili più grandi di loro, e di tutto il moralismo che sanno suscitare, quello che conta davvero sono le ragioni per cui questo succede. “Bisogna capire che il fenomeno trova la sua radice nelle malefatte del mondo occidentale” spiega Albanese a Interris.it. E che questi “soldatini di piombo” (come da titolo del suo ultimo libro sull’argomento) non sono altro se non “la dimostrazione che la globalizzazione si sta affermando in molte parti del pianeta come una sotto-civilizzazione”.

Non a caso la maggior parte dei conflitti in cui combattono i minori sono quasi sempre guerre per le commodities, le materie prime, dietro “ci sono interessi economici, inciuci a bizzeffe, giochi di intelligence. Il giornalismo dovrebbe andare alla ricerca delle news not in the news invece qui diciamo tutti le stesse cose”. Sono oltre 250mila i bambini soldato impiegati in combattimenti che si svolgono in tutto il globo: Afghanistan, Repubblica Centrafricana, Congo, Sudan del Sud, Iraq, Mali, Myanmar, Somalia, Siria, Yemen, Nigeria, Filippine e molti altri. Tra questi la Sierra Leone è l’unico Stato ad essere stato condannato dal Tribunale internazionale dell’Onu per l’utilizzo di bambini soldato. A questa si aggiungono i 14 anni di carcere confermati questa settimana dalla corte dell’Aja a Thomas Lubanga, uno dei sanguinari signori congolesi della guerra, responsabile dell’indiscriminato utilizzo di minorenni in decine di battaglie. Per il resto questa atroce pratica rimane sostanzialmente impunita. Nel 2013 sono stati più di 4mila i casi accertati di minori vittime di pratiche di addestramento, reclutamento e detenzione durante i conflitti, sebbene le stime parlino di migliaia di episodi analoghi. E tuttavia sarebbe sbagliato pensare che il problema riguardi solo le periferie del mondo. “In Italia abbiamo ancora la Nunziatella – dice Padre Giulio – Iniziamo armi i preadolescenti. Ma di questo non ci stupiamo perché sembra quasi che fare la guerra sia un’arte, mentre è la nostra bestemmia più aberrante”.

E’ interessante capire le ragioni per le quali vengono assoldati dei minorenni e ce ne sono diverse. La prima è la più ovvia di tutte: non costano nulla. Ma soprattutto: “I bambini sono facilmente manipolabili, gli fai fare quello che vuoi. L’ho visto con i miei occhi. Erano totalmente suggestionati dopo aver assunto droghe. Gli fanno bere latte e polvere da sparo”. Stando all’ultimo rapporto dell’Onu “Children and armed conflict” in Afghanistan molti dei piccoli combattenti reclutati vengono convinti a intraprendere azioni suicide a otto anni. Altra cosa da considerare è la fine che fanno questi bambini a guerra conclusa. Non ci sono molte alternative: il 10% riesce a reinserirsi nel tessuto sociale, il 55-60% continua fare l’unica cosa che ha imparato, uccidere, arruolandosi come mercenario. “Ne ho conosciuti due che sono morti in Libia per difendere Gheddafi” racconta Albanese. Il resto viene risucchiato dalla malavita locale o finisce in strada.

“In Sierra Leone sono andato a incontrare i ribelli per una mediazione tra l’Onu e il Ruf – dice ancora il sacerdote – sono stato lì otto ore, uno dei bambini mi è venuto vicino quando stavo per andare via, mi ha stretto la mano e mi ha detto: ‘Perché non mi porti con te? Voglio tornare a scuola’. E’ sempre impressionante vedere come la ferocia degli adulti, nonostante lo scenario, non riesca a deprivare l’infanzia da quello che la caratterizza: la voglia di vivere e di conoscere”.

Tutto avviene mentre l’Occidente non solo tace ma continua, imperterrito, nella vendita di armi. Un esempio su tutti: l’Italia. Secondo uno studio del 2013 di Campaign against Arms trade lo Stivale dal 2001 al 2011 ha esportato 36,5 miliardi di euro in equipaggiamenti militari. Tra gli acquirenti non ci sono solo nazioni amiche come la Francia ma anche Afghanistan, Iraq, Libia e Siria. Stati in cui (come abbiamo visto) lo sfruttamento dei bambini soldato è un fenomeno diffuso. E non basta: ogni anno l’Africa spende 34 miliardi di dollari per comprare fucili, pistole e altro dalle grandi multinazionali che si trovano in Cina, Russia e Stati Uniti. Quanti di questi strumenti di morte sono destinati alle mani dei bambini? Uno schiaffo alla dignità umana e al diritto dei più piccoli di condurre un’esistenza spensierata. E all’ingenuità di chi non conosce (o fa finta di non conoscere) la più atroce delle verità: i primi fabbricanti di morte siamo proprio noi.

Foto tratta  dal sito Buzzfeed