MISSIONE: SALVARE I BAMBINI

Il tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni, dal 1990 a oggi, è più che dimezzato e in paesi come Etiopia, Liberia, Malawi e Niger è sceso di oltre due terzi. Globalmente, il numero di decessi annui fra i bambini sotto i 5 anni per polmonite, diarrea, malaria, sepsi, pertosse, tetano, meningite, morbillo e AIDS è diminuito da 5,4 milioni nel 2000 a 2,5 milioni nel 2015. I programmi di vaccinazione hanno ridotto di quasi l’80% i decessi per morbillo tra il 2000 e il 2014, salvando così circa 1,7 milioni di vite. Sempre rispetto al 1990, anche la mortalità materna è calata drasticamente (- 43%). In 129 Stati è stata raggiunta la pari opportunità nella scuola primaria e, globalmente, il numero delle persone che vivono in povertà estrema si è ridotto quasi della metà.

Partiamo da una serie di dati positivi forniti da un rapporto dell’Unicef per dare un’iniezione di speranza a un mondo aggredito da guerre e violenze. Qualcosa di buono esiste, è possibile, soprattutto quanto anche i governi decidono che è arrivato il momento di occuparsi degli ultimi. I numeri dimostrano che se si vuole, si può.

Ed è una strada da continuare a percorrere, anche se è oggettivamente in salita. La situazione dei bambini nel mondo infatti è ben lungi dall’essere ottimale. A fronte di questi progressi appena citati, restano sacche di povertà e disagi enormi.

I bambini più poveri infatti hanno il doppio delle probabilità di morire prima del loro quinto compleanno e di soffrire di malnutrizione cronica, rispetto ai coetanei di famiglie benestanti. Attualmente, chi nasce in Sierra Leone ha 30 volte più probabilità di morire prima dei 5 anni rispetto a un bambino nato nel Regno Unito.

Nell’Africa Subsahariana le donne corrono un rischio di mortalità materna nel corso della loro vita pari a 1 su 36, mentre negli Stati ad alto reddito tale rischio è pari a 1 su 3.300. In molte aree dell’Asia meridionale e dell’Africa Subsahariana, un bambino che nasce da una madre non istruita ha probabilità triple di morire prima del quinto compleanno rispetto a un bambino nato da una madre con un livello di istruzione secondaria.

E le ragazze appartenenti alle famiglie più povere hanno il doppio delle probabilità di essere sposate da bambine rispetto alle ragazze di famiglie più benestanti. La prospettiva più incerta è nell’Africa Subsahariana, dove almeno 247 milioni di bambini – 2 su 3 – vivono in condizioni di povertà multidimensionale, deprivati di ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere e svilupparsi, e dove circa il 60% dei giovani tra i 20 e i 24 anni che appartiene al quinto più povero della popolazione, ha meno di quattro anni di scolarizzazione alle spalle.

Quello dell’Africa, periferia del mondo per antonomasia, è un grandissimo problema aperto. Stando alle tendenze attuali, secondo il rapporto, entro il 2030, in Africa si verificheranno diversi fenomeni negativi. Si concentreranno lì metà delle morti tra 0 e 5 anni per cause prevenibili (stimate in 69 milioni di bambini per il periodo 2016-2030). Saranno africani oltre metà dei 60 milioni di bambini in età da scuola primaria che non frequenteranno le scuole, il 90% dei bambini che a quell’epoca vivranno in condizioni di povertà estrema si troveranno in Africa.

Uno scenario che è ancora possibile cambiare. I dati forniti all’inizio dell’articolo lo dimostrano. Ma serve l’impegno di tutti i governi e, soprattutto, una decisa pressione internazionale che dovrebbe concentrarsi più sui diritti degli ultimi che sulle opportunità dei molti cosiddetti ricchi.

Dove però – va detto – non sono tutte rose e fiori. Nel 2014, nei 41 paesi più industrializzati, quasi 77 milioni di bambini vivevano in condizioni di povertà monetaria. Prendendo come riferimento i livelli pre-crisi, dopo il 2008 i tassi di povertà infantile sono aumentati in 23 paesi OCSE. In 5 di questi, i tassi di povertà infantile sono saliti di oltre il 50%. Nella maggior parte dell’Unione Europea, la percentuale dei bambini che vive in povertà è superiore a quella degli adulti.

Comunità emarginate come la popolazione rom in Europa centrale e orientale, per esempio, subiscono continuamente disuguaglianze nell’accesso e nell’utilizzo dei servizi sanitari.Un bambino rom ogni 5 in Bosnia-Erzegovina e uno su quattro in Serbia presenta moderati o gravi ritardi nella crescita. Nel 2012, solo il 4% dei bambini rom tra i 18 e i 29 mesi in Bosnia-Erzegovina aveva ricevuto tutte le vaccinazioni raccomandate, in confronto al 68% dei coetanei non rom.

Se il mondo non si concentrerà sulla drammatica situazione dei bambini più svantaggiati – afferma il rapporto dell’Unicef “La giusta opportunità per ogni bambino” – entro il 2030 (data conclusiva degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile) 69 milioni di bambini sotto i 5 anni moriranno per cause prevalentemente prevenibili, 167 milioni di bambini vivranno in povertà, 750 milioni di donne si saranno sposate da bambine e oltre 60 milioni di bambini in età da scuola primaria saranno esclusi dalla scuola.

(foto TranterraMedia da internet)