Integrati grazie al lavoro

La grande mobilitazione sindacale avvenuta in questi giorni in più di 70 città italiane in favore delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati, prende le mosse dalle ripercussioni negative che questa lunga crisi economica ha avuto e sta avendo non solo sull’occupazione in generale nel nostro Paese ma anche, sia pure in misura minore, su quella straniera. Nel corso degli ultimi 8 anni, infatti, il tasso di disoccupazione degli stranieri ha raggiunto quota 17% e, pertanto, sono moltissimi i cittadini di paesi terzi che hanno perso il lavoro e non sono riusciti a trovarne uno nuovo entro il termine previsto dalla legge (un anno) per poter rinnovare il permesso di soggiorno nel nostro Paese. Come risultato, una parte di loro è dovuta andarsene per cercare lavoro all’estero ma la maggior parte rischia di finire nella trappola del lavoro sommerso, una condizione da cui è complicatissimo uscire ed in cui vengono cancellati i diritti fondamentali, civili e del lavoro, con conseguente disgregazione familiare.

Anche noi donne della Cisl, considerando che su circa 5 milioni di stranieri residenti in Italia la metà sono donne, non potevamo tacere questa situazione che vede molte famiglie e molte donne immigrate co-protagoniste di un processo che rischia di minare alla base la stabilità economica e sociale di quante e quanti sono giunti in Italia e hanno costruito negli anni e con grandi sacrifici un percorso regolare di integrazione. Se da un lato, dunque, occorre intervenire con progetti mirati e ben organizzati rispetto alle persone che fuggono da guerre e conflitti, cosa che sta diventando sempre più difficile a causa dell’affacciarsi di nuovi nazionalismi e populismi all’interno dei singoli stati europei, che confermano l’esistenza di un continente come il nostro tenuto insieme solo sotto il profilo economico e finanziario – il voto sulla Brexit in Gran Bretagna ne è un esempio – dall’altro non dobbiamo dimenticare tutte quelle storie che rappresentano in Italia un modello di buone pratiche di integrazione ed inclusione.

I permessi di soggiorno per motivi di lavoro non rinnovati, dal 2011 ad oggi, sono circa 400 mila e questo costituisce un problema per la permanenza nella legalità di questi lavoratori e lavoratrici. Per far fronte a ciò, già nel 2012, il sindacato aveva ottenuto l’estensione del permesso di soggiorno per attesa occupazione da 6 mesi ad un anno con la previsione di un suo ulteriore rinnovo per “tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore” e in caso di esistenza di un “reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale”. Aspetti questi precisati anche in una circolare del Ministero dell’Interno alle Questure che però hanno proceduto in un’applicazione della norma in ordine sparso e in molti casi in una interpretazione restrittiva della stessa fin quasi a disattenderla.

Ecco perché le organizzazioni sindacali, dopo diversi tentativi di confronto con i dicasteri competenti, si sono mobilitate su tutto il territorio nazionale, presso i singoli distretti prefettizi, non solo per sollecitare i Prefetti nel richiamare le Questure ad una interpretazione più omogenea e corretta della norma, ma per richiedere anche la proroga della durata del permesso di soggiorno per attesa occupazione ad almeno 24 mesi e per rivedere la posizione di quelle lavoratrici e lavoratori immigrati che hanno già perso lavoro e permesso e che rischiano di scivolare nel lavoro nero, potenziali vittime di sfruttamento, tratta e lavoro forzato. Non si chiedono diritti fine a se stessi ma per preservare ciò che si è costruito nel tempo all’insegna della legalità, quel terreno dove ai diritti si affiancano i doveri, capisaldi di ogni convivenza civile e democratica, come precisato dalla Cisl anche in occasione dei recenti scontri avvenuti a Sesto Fiorentino durante i controlli di sicurezza presso alcune aziende gestite da imprenditori cinesi.