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Lo strano caso delle “bolle” siberiane: 7 mila giacimenti di metano sull’orlo del collasso

Settemila bolle nel terreno siberiano. A sentirla così sembrerebbe una sorta di malattia cutanea e, in un certo senso, potremmo leggerla in questo modo. A rendere decisamente unica questa “escoriazione”, però, è che tale rigonfiamento non è sintomo di un’infezione ma della presenza di dosi massicce di gas metano che, risalendo dal sottosuolo, consuma il terreno soprastante dapprima rendendolo molle e, successivamente, costringendolo al collasso. In lingua locale, questo curioso fenomeno è denominato bulgunyakh e, già un anno fa, era stato osservato da alcuni ricercatori in attività sull’isola di Bely, nel nord della Russia siberiana: erano state in tutto 15 le bolle osservate e, già allora, ne era stata ventilata la bizzarra pericolosità.

Bolle di gas e punti di rottura

In effetti, questi rigonfiamenti di terreno, se calpestati, appaiono come una sorta di tappeto gommoso, dall’aspetto estremamente vulnerabile. Nel corso degli ultimi dodici mesi, l’indagine degli studiosi è proseguita, arrivando a identificare altri 6999 casi analoghi circa su tutto il territorio. Un numero decisamente elevato e, a questo punto, rischioso, se non altro per l’incombente possibilità che tali “bolle” di terreno possano esplodere, con conseguente rilascio di massicce quantità di gas serra nell’aria. Una notizia non certo positiva per il clima della zona (e per i polmoni dei suoi abitanti) se si pensa che, come stimato dai ricercatori, la rottura di queste sacche rilascerebbe quantità di metano e anidride carbonica estremamente alte, rispettivamente 1000 e 25 volte superiori alla normale quantità rilasciata nell’atmosfera.

Conseguenze dell’effetto serra

Ovviamente, qualora una simile concentrazione di gas venisse rilasciata contemporaneamente  e in più punti, provocherebbe non pochi disagi alle popolazioni locali, le quali si ritroverebbero a fare i conti con esalazioni altamente pericolose. Secondo quanto osservato nel corso dello studio, a provocare la rapida accentuazione dei punti di rottura sarebbe stata l’eccezionale ondata di caldo che ha interessato la Siberia (come del resto quasi tutto il mondo) nei mesi del 2016: un innalzamento di temperature che non ha certo giovato alla resistenza di un terreno pur compatto come il permafrost. Un’ulteriore osservazione, ha potuto constatare come, nel periodo immediatamente successivo all’esplosione, la carica di gas non venga interamente rilasciata al momento del collasso ma continui a esalare quantità di metano pressoché costantemente. Un ulteriore segnale di un rischio concreto, le percentuali del quale sono attualmente oggetto di indagine. Senz’altro, una riprova del fondamentale ruolo giocato dall’effetto serra nei repentini cambiamenti del clima (e dei fenomeni naturali) del nostro Pianeta.

Mattia Damiani

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