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L’epidemia europea che decimò gli Aztechi: la salmonella il probabile batterio-killer

E se un virus potesse, in parte, contribuire ad aggiornare una pagina di storia? C’è molto da disdegnare nell’operato europeo sul suolo del Mesoamerica, quando le imprese coloniali pensarono ad annientare, anziché comprendere, le importantissime ed evolute civiltà imperiali locali, fra le più interessanti e avanzate dell’epoca. E non si parla solo di assalti a colpi di spingarde e archibugi, ma anche di propagazioni dirette o indirette di forme epidemiche distruttive le quali, fino a questo momento, non avevano un’identificazione concordata. A sciogliere qualche dubbio in proposito, ci ha pensato una recente ricerca, condotta dall’Istituto “Max Planck” di Jena, durante la quale sono stati analizzati i corpi di 29 nativi messicani del XVI secolo, nel cui dna sarebbero stati rinvenuti i bacilli della salmonella, importata dai conquistadores di Hernàn Cortés. Come noto, anche grazie alle numerose testimonianze giunte fino a noi, le malattie europee sono state fra le maggiori cause della rapidissima decimazione delle grandi civiltà delle Americhe, spazzate vie dai migliori armamenti degli invasori ma, allo stesso modo, dai virus sbarcati insieme ai colonizzatori, decisamente sconosciuti agli autoctoni locali.

Diffusione rapida

L’indagine dei ricercatori ha consentito di fornire, per la prima volta e in modo quasi certo, il nome di uno di questi batteri killer il quale, assai probabilmente, avrebbe influito in modo determinante sulla veloce caduta della popolazione azteca e alla conquista di Tenochtitlan dopo un lungo assedio. Le ricerche fin qui effettuate non avevano trovato riscontri certi fra la comunità scientifica, la quale si era finora orientata su ipotesi formulate perlopiù sulle descrizioni riportate nelle cronache dell’epoca. La diffusione della malattia, oltre che per un ambiente urbano densamente (seppur ordinatamente) popolato, potrebbe essere stata ulteriormente favorita anche (e soprattutto) dall’assembramento della popolazione superstite voluta da Cortés, dopo la conquista della capitale, all’interno delle città più grandi. Qui, la propagazione del batterio avrebbe subito una spaventosa accelerazione in sistemi immunitari del tutto nuovi a tali contagi.

Il collasso dell’Impero

In breve, le epidemie chiamate “cocolitzi” in lingua locale, sterminarono una civiltà che, al momento dello sbarco spagnolo sul suolo americano, nel 1519, contava circa 25 milioni di persone. Il collasso della società azteca in virtù di tali “pestilenze”, sarebbe ora confermato dall’analisi dei 29 cadaveri della regione di Oaxacan (24 certamente morti per un’epidemia, tra il 1545 e il 1550), sui quali sono state rinvenute tracce di Paratyphi C, una particolare forma di salmonella che, al giorno d’oggi, conserva un tasso di mortalità piuttosto basso (poco più del 10%), ma che era decisamente letale in una società del tutto impreparata ad affrontarlo e priva di qualsiasi mezzo di guarigione. Secondo i ricercatori, le epidemie più gravi furono in tutto tre, comprese tra il 1520 e il 1576 (con vertiginosi numeri in fatto di morti, i quali sarebbero stimabili tra i 7 e i 18 milioni). Circa un secolo dopo l’arrivo dei conquistadores, del grande impero di Montezuma non restava quasi nulla. Ora, resta da capire se il bacillo della salmonella possa aver interessato anche altre regioni. E, per farlo, sarà necessario esaminare altri corpi, in altre zone. Quel che resta certo, che sia per guerra o per virus esportati, è il triste ruolo giocato dagli europei nella fine di una tra le più affascinanti culture della storia dell’umanità.

Damiano Mattana

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