LA CANNABIS UCCIDE

Uno studio statunitense condotto dalla AAA Foundation for Traffic Safety nello stato di Washington – che ha legalizzato la marijuana nel dicembre 2012 – rileva un dato preoccupante: i limiti di legge sul consumo di cannabis consentito per guidare sono arbitrari e non supportati dalla scienza, cosa che potrebbe tradursi in un pericolo concreto per gli automobilisti. I ricercatori hanno scoperto che la percentuale di conducenti coinvolti in incidenti mortali che avevano recentemente consumato cannabis è più che raddoppiata: dall’8% al 17% tra il 2013 e il 2014. Inoltre un conducente su sei coinvolto in incidenti mortali nel 2014 aveva recentemente usato marijuana.

“Questo aumento significativo è allarmante”, ha detto Peter Kissinger, presidente e ceo della fondazione, “Washington deve servire come caso studio per aprire gli occhi su quello che può verificarsi negli altri Stati per quanto riguarda la sicurezza stradale, dopo la legalizzazione della droga”. Washington è stato uno dei primi Stati a legalizzare l’uso ricreativo di marijuana, ma almeno altri 20 Stati stanno considerando di fare la stessa scelta entro il 2016.

La Cannabis dunque uccide. Non solo perché può essere l’inizio di un lungo percorso nel mondo delle droghe che arriva a distruggere una persona, ma perché l’utilizzo altera le capacità di discernimento della realtà, e in un mondo in cui è l’automobile il primo strumento di mobilità, questo significa aumentare esponenzialmente non “il rischio”, ma “i dati” sugli incidenti, anche mortali.

Premesso che la cannabis oggi in commercio è molto più pericolosa di 50 anni fa (per capirci, all’epoca degli Hyppie il principio attivo Thc era del 5%, oggi siamo al 50%), cosa succede nel cervello di chi la usa? Accade che la cannabis aumenti gli stimoli nella zona della corteccia prefrontale, quella deputata a prendere decisioni. L’accumulo di informazioni non codificate provoca lo “spegnimento” di alcuni recettori neuronali (un po’ come spegnere qualche radio in un negozio dove ne sono contemporaneamente accese troppe) e dunque si abbassala capacità di elaborazione. Troppo “rumore” impedisce una corretta visione della realtà. Ecco quindi che -banalmente ma drammaticamente – non si ha la visione chiara se girare a destra o sinistra, di un senso vietato, di un pericolo in arrivo. E accade la tragedia.

C’è poi il discorso del “primo scalino” di una piramide rovesciata, che porta nel profondo della tossicodipendenza. Anche qui non sono “statistiche”, ma vita vissuta.

“Fare uso di canne è diventato una routine. Questa cosa mi spaventa: è come se si stesse creando un’armata di incoscienti. La cannabis dà una dipendenza particolare, psicologica: non puoi farne a meno per affrontare la vita, soprattutto quando ti trovi di fronte a una difficoltà”. A parlare è Francesco, un ragazzo che ha seguito un percorso di recupero all’interno di una comunità terapeutica dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e che ha scelto di raccontare la sua esperienza ad In Terris.

Si inizia a fumare per cercare un’identità che non è stata trovata e ben definita all’interno dell’ambito familiare, magari a causa di una separazione, oppure perché all’interno del gruppo di amici “se non lo fai sei uno sfigato”.

“Ho fumato la mia prima canna al mio 14 compleanno. Quando lo ho raccontato ai miei genitori è stato un disastro”. Francesco ha iniziato a usare le droghe per dare delle risposte alle domande che si faceva e alle quali molto spesso non sapeva trovare una soluzione. “Ma la droga non è mai una risposta”.

Una certezza che ha acquisito solo dopo un percorso lungo e difficile. Infatti per lui, ma anche per molti altri giovani, la cannabis è stata solo un primo passo verso dipendenze più forti. “Tu fumi, ti distruggi, perdi gli stimoli per la vita e finisci in un circolo vizioso”. Un serpente che si morde la coda dal quale è difficile scappare. “Non riesci neanche più a ridere, per farti una risata hai bisogno di fumare. Ma quel mondo non è fatto di risate, molto spesso trovi solo le lacrime”.

“Io non mi sono fermato alla cannabis, sono andato molto oltre. Ho fatto uso anche di droghe pesanti e, nella mia esperienza, sono poche le persone che dopo essersi fumati la prima canna non passano ad altro”.

“E’ assurdo sentire al telegiornale o leggere sui quotidiani le affermazioni di coloro che dicono che la cannabis non fa male, – ha spiegato Francesco-. È come mettere una pistola in mano a un ragazzino: è chiaro che prima o poi qualcuno si farà male. Ed è ancora più assurdo pensare che ci sia in Italia chi voglia legalizzarla”.

Legalizzando la marijuana sarà più facile – anche per i ragazzini – entrarne in possesso, fumarla in quelli che sono stati definiti dei “cannabis social club”, ma la cosa ancora più controversa è che, se dovesse essere approvato dal governo, il ddl Cannabis del senatore Benedetto Della Vedova, diventerà un monopolio di stato. Lo stesso stato che poi userà il 5% dei proventi per finanziare dei programmi di prevenzione per la tossicodipendenza.

E’ un controsenso. Io non ho un vocabolario tale che mi permetta di fare bei ‘discorsoni’ per convincere tutti che questa cosa rasenta la follia – ha concluso Francesco –. Ma ho la mia esperienza di vita che posso condividere con gli altri perché non cadano nello stesso baratro in cui sono finito io”.