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“IO, STRANIERO D’ITALIA, CONTRO LO IUS SOLI”

Paolo Diop è un ragazzo di ventinove anni di origine africana. Nato in Senegal, è emigrato in Italia con la famiglia quando aveva appena due mesi. Vive a Macerata, dove studia giurisprudenza e lavora in una multinazionale. Ha la cittadinanza italiana ed è innamorato del Belpaese.

Sarebbe un perfetto testimonial dello Ius soli. Un bellimbusto dalla pelle nera, da dare in pasto all’opinione pubblica in una eventuale pubblicità progresso di partito per promuovere la controversa legge in discussione in Senato.

Sarebbe, se non fosse che Paolo è invece energicamente contrario allo Ius soli, anche alla versione cosiddetta “temperata”. Lui la cittadinanza italiana l’ha presa a ventidue anni, cioè in ritardo rispetto a quando gli sarebbe spettata. Con la legge attuale, infatti, si può fare la richiesta al compimento della maggiore età, a patto che si sia vissuti in Italia legalmente e ininterrottamente. Per Paolo, tuttavia, l’italianità è appartenenza culturale e non iter burocratico, come spiega in un’intervista a In Terris.

Perché è contro lo Ius soli?
Perché ritengo che la legge attuale sia ottima e che non ci sia bisogno di sostituirla con un’altra. Con la legislazione vigente la persona straniera ha modo di potersi integrare veramente, di guardare alla cittadinanza come al compimento di un percorso culturale. Invece con lo Ius soli si renderebbe tutto talmente più facile e scontato da svuotare di senso l’appartenenza alla comunità nazionale.

Eppure i fautori di questa legge sostengono che favorisca l’integrazione…
La mia esperienza personale dimostra che l’integrazione sia una realtà alla portata di noi emigrati già oggi. Ma di situazioni analoghe alla mia ce ne sono innumerevoli in tutta Italia: tempo fa i giornali si sono occupati di un ragazzo indiano entrato nell’Arma dei Carabinieri. La sua storia testimonia che in questo Paese chi merita e chi davvero ha il desiderio di integrarsi può farlo.

Lei parla di merito. Crede che lo Ius soli svilisca questo concetto?
Lo Ius soli si pone in contraddizione con la meritocrazia. Mi spiego: se un ragazzo d’origine straniera e nato in Italia acquisisce automaticamente la cittadinanza, non si sente più in dovere di affrontare un percorso culturale per raggiungere la piena appartenenza nazionale. La sua unica cultura rimarrebbe quella tramandata dai propri genitori. E, nel caso di famiglie radicali islamiche, si tratta di una cultura estranea all’Italia. Se passa lo Ius soli, tra dieci o quindici anni sarebbe pieno di ragazzi di seconda o terza generazione con cittadinanza italiana ma cultura non italiana.

E questo può anche favorire l’adesione ad idee fondamentaliste e al terrorismo?
Certamente. Basti pensare che molti dei terroristi che hanno compiuto attentati in Europa sono ragazzi di seconda generazione, evidentemente rimasti legati soltanto alla propria cultura d’origine. Oggi in Italia, grazie alla legislazione attuale, è possibile espellere i soggetti pericolosi. Se questi avessero avuto la cittadinanza, non sarebbe stato possibile.

Ma la legge attuale, basata sullo Ius sanguinis, è migliorabile?
Come ho già detto, è un’ottima legge. Ma io la renderei ancora più restrittiva: al termine del percorso dei diciotto anni per i nati in Italia, metterei un esame di Stato per verificare la loro reale adesione alla cultura italiana. Inoltre valuterei in maniera ancora più rigida il percorso storico giudiziario del ragazzo: bisogna stare attenti a dare la nazionalità a chi ha già commesso reati, perché – ripeto – poi un domani non potrebbe più essere espulso.

Insieme allo Ius soli la legge in discussione introdurrebbe lo Ius culturae, cioè la cittadinanza ai minori nati in Italia o arrivati qui prima dei 12 anni che abbiano frequentato un corso di cinque anni di scuola. Che ne pensa?
Lo Ius culturae è una formula accettabile, ma non nei termini previsti dalla legge in questione. Anche qui, manca un esame di Stato che attesti l’effettiva appartenenza alla cultura italiana. Aver studiato in Italia, di per sé non è una garanzia di italianità.

Ritieni che lo Ius soli possa minare l’unità familiare di nuclei stranieri che vivono in Italia?
Si verrebbero a creare dei paradossi per cui i figli avrebbero la cittadinanza italiana e i genitori no. Così si distorce il diritto di famiglia e laddove si mina l’unità familiare si creano degli insipidi culturali che disgregano la società.

Che effetto le fa vedere suoi coetanei, magari di origine africana come lei, scendere in strada per reclamare lo Ius soli?
Credo che  soffrano di sudditanza psicologica.

In che senso?
Nel senso che la discriminazione avviene solo nelle loro teste. In Italia non ho mai riscontrato alcun problema, questo è un Paese tollerante che accoglie e rispetta tutti. Non capisco perché si consideri l’acquisizione della cittadinanza un “diritto divino”. La cittadinanza è il compimento di un percorso. E poi ritengo che questi ragazzi siano pure strumentalizzati.

Da chi?
Le dico francamente: credo che dietro questa legge ci sia una manovra di opportunismo politico. La sinistra spinge per lo Ius soli per crearsi un bacino di voti da parte dei cosiddetti “nuovi italiani”. Niente di più di un mero voto di scambio.

Ti imbarazza che tra i contrari allo Ius soli ci sia anche chi usa argomentazioni razziste? Penso all’uso del termine ‘negro’ per identificare gli africani…
Se vengo chiamato negro, personalmente non mi offendo. Sono di “razza” negroide e ne sono orgoglioso. Poi, ovviamente, il discorso cambia se oltre al termine negro, a seguire vengono aggiunte delle ingiurie. Ma posso dire che si tratta di situazioni molto rare. Più che razzismo, si riscontra patriottismo da parte di chi è contro lo Ius soli.

Lo Ius soli per ora è un capitolo chiuso. Ma Gentiloni ha affermato che si farà entro l’autunno, magari con la fiducia…
E io mi unirò a quanti andranno in piazza per esprimere il proprio dissenso. Lo Ius soli è una minaccia nei confronti della cultura di provenienza e di quella di acquisizione. Se passa questa legge, tra vent’anni ci troveremo con un immenso numero di ragazzi disgregati, consumatori perfetti di una società senza identità.

Federico Cenci

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