INTERVISTA AD ANONYMOUS

Molti si interrogano sulla vera natura di Anonymous, singoli utenti o comunità online che agiscono in modo autonomo o coordinato attaccando siti informatici di società, strutture pubbliche e persino giornali. Tutti hanno parlato dell’aggressione online ad account e portali collegati alla jihad dopo l’eccidio di Charlie Hebdo. Un gesto che ha fatto sorgere la più semplice delle domande: “Amici o nemici?”. Perché tra le pieghe del web l’attività di questa sigla è ancora oscura e si muove in una zona grigia fra lecito e illegalità. Intervistarli è operazione tra le più complesse: si girano forum, gruppi, si sentono persone che danno suggerimenti; non è stato facile, ma alla fine ci siamo riusciti.

Chiariamo: una volta trovato il forum non sono bastate le semplici parole “Buongiorno, sono una giornalista” per far sì che gli utenti collegati si fidassero. Siamo stati indirizzati verso un pad, ovvero una sorta di block note telematico creato per l’occasione, su cui abbiamo dovuto scrivere le domande che intendevamo porre loro, in modo che si potessero consultare e decidere poi come comportarsi. Ma anche questo non è stato sufficiente, dovevano avere garanzie sull’identità dell’intervistatrice. Ho dovuto dare loro il mio nome twitter e facebook, e dopo aver “bucato” – termine tecnico che indica l’entrata nel profilo senza avere la password – entrambi i profili, hanno iniziato l’intervista. Nell’immaginario comune Anonymous è un “collettivo”, che collabora per raggiungere un obiettivo.

Ma, come dichiara A-one (il nome è di fantasia per non rivelare l’identità), bisogna immaginare piuttosto una rete, anzi, una città. “Non un luogo fisico – ha spiegato A-one – ma un ambiente in cui si gira, dove ci sono strade, si fanno incontri, si parla, ci si scambia confidenze, conoscenze, ma soprattutto nel quale si fanno proposte di ‘attacchi’, che vengono raccolte da ‘compagni’ che sono d’accordo con questa causa”. Allora, pur senza conoscersi l’uno l’altro, si lavora insieme: ognuno mette le proprie capacità informatiche al servizio della causa scelta. Non esiste una gerarchia, tutti fanno ciò che possono, in maniera più o meno legale.

Per entrare a farne parte non c’è un iter da seguire, nessun tipo di “arruolamento”; sicuramente – dato l’anonimato – non si va avanti per conoscenze. Una persona, semplicemente da casa sua, seduta davanti al proprio pc può scegliere di abbracciare l’idea di Anonymous, e gli aiuti che si possono dare sono tanti: anche semplicemente condividendo un loro post sui social network, per far aumentare la visibilità del nome e dell’azione. Anche queste persone sono Anonymous. L’unico modo per entrare in contatto è il web: attraverso i forum, i social, o per i più esperti il deep web.

A questo punto viene quasi spontaneo chiedersi come si faccia a gestire una tale folla senza nessun tipo di gerarchia, se si segua un’etica o se ci siano dei “cani sciolti” che forti della maschera del gruppo scelgano di compiere azioni poco in linea con i loro ideali: “L’hacking è un’arma, e come tale può essere utilizzata per compiere azioni socialmente utili o anche solo per comportarsi da idiota”, dichiara A-two, una seconda interfaccia che ha parlato con In Terris . Però il loro gruppo cerca di escludere (a volte anche “farla pagare”) quelle persone che usano le proprie conoscenze solo per i loro affari. “Noi siamo quello che siamo perché vogliamo essere utili e dire la verità, se scegliamo di hackerare un determinato sito lo selezioniamo poiché dobbiamo mandare un messaggio”.

Pensando a Matrix viene naturale credere che ci siano dei miti, degli eroi in questo mondo, ma A-two sottolinea che non è assolutamente così: “Nel nostro mondo non ci sono miti né eroi, visto che noi siamo milioni di persone ma dietro una sola maschera. Tutti fanno quello che possono”. E ci svela un altro segreto: le persone che ne fanno parte sono gente comune, “nascoste” dietro una vita normale da impiegato, o più spesso da programmatore. Perché, confessa, “ci sono molti modi di guadagnare con l’hacking”, dal bypassare dei siti di PayPal, a bloccare pc che si possono sbloccare solo a pagamento, ovviamente tutti illeciti.

Anonymous però è altro rispetto a queste furbate illegali, nella loro idea si sentono una fondazione che lotta per la giustizia. Altre dichiarazioni di A-one, nelle quali risponde alla domanda su cosa ne pensino le persone intorno a lui del fatto che sia un hacker, sembrano riportare alla realtà. Dice di non aver amici, ma solamente i “compagni” di internet, perché questa è la sua scelta di vita, e che solo i genitori conoscono la sua vera identità perché poco tempo fa la polizia ha fatto irruzione a casa sua per arrestarlo.

Quindi, nonostante i buoni propositi e gli alti ideali che ci possono essere, l’attività di hackeraggio resta uno schiaffo alla legalità, che sceglie percorsi da Far West per “farsi giustizia da soli”, forse come conseguenza della scarsa fiducia nelle istituzioni, oppure per reazione a un mondo che sembra non tenere più il passo con le esigenze delle nuove generazioni.