IL “GOLPE” DI ERDOGAN

A poche ore dal golpe fallito, Erdogan aveva in mano liste già stilate con decine di migliaia di presunti golpisti e collaboratori dell’imam Fethullah Gulen, predicatore e politologo turco, definito “come Bin Laden” da Erdogan che lo considera la mente di tutto ciò che è accaduto. Non solo i comandi militari che hanno effettuato il blitz nel Paese, dunque, e qualche fiancheggiatore della nomenklatura – com’era logico aspettarsi – ma una parte consistente di soldati e di popolazione civile in poche ore è stata individuata e arrestata. Tutto si è svolto come se esistessero delle liste nere già pronte di ‘nemici’ e infiltrati, nonché la genericità dell’accusa di simpatie per Gulen. “Quando si arrestano migliaia di persone arbitrariamente, è repressione – ha detto la presidente della Camera, Laura Boldrini -. Ed è qualcosa di intollerabile per un Paese che dice di voler entrare nell’Unione europea. Quello che sta accadendo in Turchia ci deve preoccupare ed è inaccettabile”.

A preoccupare Stati Uniti e Unone Europea sono la quantità e la rapidità dei provvedimenti. Risposte troppo rapide del presidente turco contro magistratura, polizia ed esercito. Poi le purghe colpiscono anche istruzione e informazione. Semplificando, ciò che sembra ad un occhio esterno è che sia stato Erdogan a fare il golpe piuttosto che subirlo; come se ci fosse un piano prestabilito per cambiare l’intero estabilishment del Paese. “Continueremo a espellere il virus da tutte le istituzioni statali, perché questo virus si è diffuso come un cancro, che ha avvolto lo stato”, ha dichiarato Recep Tayyip Erdogan durante il funerale a Istanbul di alcune vittime del colpo di stato.

Ricapitoliamo qualche numero: arresto di oltre 6000 soldati, 103 i generali e ammiragli delle Forze Armate. 2.745 giudici sollevati dall’incarico, quasi 8000 poliziotti sospesi tra Ankara e Istanbul; sollevati dall’incarico anche 8.777 dipendenti del ministero dell’Interno. Il ministero delle Finanze ha invece sospeso circa 1.500 impiegati. Sospesi anche 30 governatori e 50 amministratori locali. Sospesi 15.200 dipendenti pubblici, tolta la licenza a 21mila insegnanti di istituti privati, chieste le dimissioni di tutti i 1.577 tra decani, presidi e rettori universitari. Chiuse 24 radio e tv, finiti sotto inchiesta 370 dipendenti e giornalisti della tv pubblica Trt. Anche cinque membri del Hsyk stesso, il più alto organismo giudiziario della Turchia, sono stati rimossi, rende noto l’agenzia di stampa Anadolu. La Presidenza turca per gli Affari religiosi (Diyanet), la massima autorità islamica che dipende dallo Stato, ha annunciato di aver allontanato 492 dipendenti – tra cui imam e docenti di religione – per lo stesso sospetto.

La cosa che appare grave è la “palese violazione dei diritti umani”, come denunciato da Amnesty International: “Ammassati per terra seminudi e con mani e piedi legati, probabilmente nella palestra di un edificio militare. Sono le immagini shock, che circolano in queste ore sui social network, delle condizioni di detenzione di decine di militari turchi, arrestati dopo il fallito colpo di stato. Foto che si accompagnano ad altre di soldati golpisti arrestati con evidenti segni di percosse”. Le Nazioni Unite hanno fatto sapere di temere e condannare anche “la reintroduzione della pena di morte: sarebbe una violazione degli obblighi della Turchia previsti dal diritto internazionale dei diritti umani, un grande passo nella direzione sbagliata”, ha detto l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein. La Turchia è in corsa per entrare nell’Ue, e questa situazione potrebbe rappresentare l’ennesimo esempio di ambiguità di un regime che evitando le esecuzioni potrebbe staccare il biglietto per l’Ue pur mantenendo all’interno dei confini un regime totalitario.

D’altronde, l’ambiguità di Erdogan è antica. Basti vedere la foto che lo ritrae in ginocchio da Hektmatiar signore della guerra talebano e alleato di Al Qaeda in una foto degli Anni Novanta (immagine pubblicata da un giornale turco quando Erdogan divenne premier nel 2003 e il giornale fu sequestrato e il direttore arrestato), o anche solo il sostegno all’Isis degli ultimi tempi, o ancora le bombe sui curdi alleati dell’Occidente proprio contro l’Isis. Che tutto fosse già scritto sembra evidente, le liste di proscrizione erano compilate e pronte all’uso. Ma l’Occidente ha ancora negli occhi il disastro compiuto con l’eliminazione dei leader in carica nel momento in cui esplose la Primavera Araba, operazione che lungi dall’esportare democrazia ha invece creato il coas nel Mediterraneo, aprendo la strada al fondamentalismo del Daesh.

Non tutti lo ricordano, ma lo scorso 20 marzo l’Unione Europea e la Turchia hanno siglato un accordo per la gestione dei flussi migratori verso l’Europa. Il numero dei migranti che tentavano di passare illegalmente dalla Turchia alla Grecia è drasticamente diminuito (si è passati da una media di 1700 a settimana a 47). Ma, spiegavano pochi mesi fa dalla Commissione europea, molto lavoro c’è ancora da fare e il successo dell’accordo dipenderà dalla determinazione politica di tutte le parti coinvolte. Una situazione che ricorda molto quella che vide protagonista Gheddafi nell’agosto del 2008, quando firmò un accordo di cooperazione che, non scritto, sottintendeva il blocco dei migranti. “Va bene l’accordo con la Libia perché la Libia fermerà gli immigrati clandestini invece di mandarli qui – disse l’allora ministro Bossi – perché da lì che arrivano tutti gli extracomunitari”. Poi Gheddafi fu spazzato via…