Che fossero una popolazione affascinante e intrisa di caratteristiche tradizioni era fuori di dubbio. Ma che, addirittura, i sardi custodissero nel loro dna le tracce genetiche grazie alle quali è possibile ricostruire le tappe della civilizzazione sul territorio della seconda isola italiana per grandezza è un dato che contribuisce a renderli ancora più speciali. Il particolare studio sui genomi degli abitanti della Sardegna è stato condotto dall’Università di Pavia e dall’Istituto di Ricerca genetica e biomedica (Irgb) del Consiglio nazionale delle ricerche: secondo quanto riscontrato dagli studiosi, nelle molecole di dna dei 3491 sardi analizzati sarebbero riscontrabili tracce del passato dell’isola, grazie al rinvenimento di molecole assolutamente uniche, risalenti addirittura al periodo precedente e posteriore alla civiltà nuragica (1800 a. C.), nonché all’età neolitica.
Una mappatura genetica decisamente speciale questa, attraverso la quale è possibile non solo attribuire al popolo isolano un ulteriore tratto distintivo ma anche comprendere meglio come e quando sia avvenuto il processo di colonizzazione di questo territorio e, almeno in parte, per quali ragioni tale popolo si distingua in modo così marcato dal resto del nostro Paese. Nell’ambito dell’indagine scientifica, i dna dei cosiddetti “sardi moderni” sono stati confrontati con quelli prelevati da 21 “sardi antichi” (prevalentemente provenienti da siti archeologici databili tra i 6000 e i 4000 anni fa): i dati ottenuti dall’analisi comparativa sono stati poi, a loro volta, sottoposti a un ulteriore confronto con oltre 50 mila genomi moderni e altri 500 antichi (tra i quali quelli della mummia del Similaun, meglio conosciuta con il nome di “Oetzi”). Il risultato, a dir poco sorprendente, ha evidenziato come l’80% dei genomi mitocondriali (la cui trasmissione avviene per via materna) riscontrati negli abitanti della Sardegna, appartenga a gruppi genetici esclusivamente locali, non individuabili in nessun altro territorio.
In sostanza, i sardi costituirebbero un vero e proprio popolo, con un dna particolareggiato e ben preciso. Ma non solo: l’analisi dei ricercatori ha evidenziato come, in effetti, nel sangue degli isolani sia presente una sorta di finestra sul passato dell’uomo europeo. Che poi, in fondo, almeno nel caso specifico, tanto europeo non era (quantomeno non del tutto), dal momento che, stando a un approfondimento del team di ricerca, circa il 3% dei dna studiati conserverebbe tracce genetiche di popolazioni che, prima della età nuragica, avrebbero colonizzato l’isola calando in gran parte dall’attuale Medio Oriente e dalle regioni più occidentali dell’Europa. Questi filamenti costituirebbero la prova che, già in età paleolitica e mesolitica (e quindi prima della scoperta dell’agricoltura), la Sardegna fosse abitata, gettando le basi di una storia che, in qualche modo, affonda e “smarrisce” le sue radici nella notte dei tempi.
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