La ludopatia o gioco d’azzardo patologico è un disturbo del comportamento rientrante nella categoria diagnostica dei disturbi del controllo degli impulsi che colpisce ormai quasi due milioni di persone. Secondo una stima del Dipartimento Nazionale per le Politiche Antidroga, in Itala sono oltre 32 milioni i giocatori, pari al 54% dell’intera popolazione italiana.
Almeno 1.700.000 sarebbero i giocatori cosiddetti ”problematici” e oltre 800.000 le persone cadute nella trappola del gioco patologico, vale a dire coloro che passano le giornate tra video-poker e slot-machines dilapidando stipendi e risparmi. Le statistiche dicono che le persone affette da ludopatia sono per il 72% maschi. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, la zona di maggior diffusione è il centro Italia (41%), seguito dal Nord (33%) e dal Sud (26%).
Nella capitale il Centro italiano di solidarietà (Ceis) di don Mario Picchi, specializzato in recupero da dipendenze, ha presentato un dossier sui giovani e la ludopatia realizzato su un campione di 3.000 persone, fra studenti seguiti dal progetto Pari & Impari e utenti del progetto “Rien ne va plus”. Lo studio è stato realizzato tra il 2014 e quest’anno.
I risultati della ricerca del Ceis parlano chiaro: il 18% dei giovani romani ha un rapporto già fortemente alterato con il gioco d’azzardo. La facilità d’accesso ai giochi on line attraverso i supporti tecnologici accelera e aumenta il fenomeno. Dal dossier si evince pure che in alcuni casi la soglia dell’età si abbassa fino a coinvolgere ragazzi e ragazze tra i 12 e 16 anni (il 10%), mentre emerge un preoccupante incremento della popolazione di giocatori tra i giovani disoccupati (circa il 25% dell’utenza seguita dai progetti del Ceis).
“Il gioco d’azzardo – spiega Roberto Mineo, presidente del Ceis – è un vero e proprio cancro della nostra società che sta colpendo le classi sociali più esposte come i disoccupati e i giovani”. “I dati – aggiunge – ci mostrano che quasi 2 ragazzi su 10 a Roma hanno un rapporto pericoloso con il mondo del gioco soprattutto on line e questo fatto è un campanello di allarme che ci dice che le istituzioni sono chiamate a fare di più”.
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