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Dalla Namibia all’Australia, una nuova spiegazione per i cerchi delle fate

Non saranno al livello dei fantomatici “cerchi nel grano” ma, in modo del tutto simile, affascinano e incuriosiscono da anni i botanici terrestri: si tratta di un altro tipo di “cerchi”, quelli delle fate. Un curioso fenomeno naturale il quale, in modi differenti, si manifesta nei deserti della Namibia e in quelli australiani. Di per sé non si tratterebbe di nulla di eccezionale, almeno visivamente: i cerchi delle fate, infatti, sono dei ciuffi d’erba (appartenenti al genere stipagrostis) che, in modo straordinariamente preciso, formano dei veri e propri anelli verdi sul suolo arido delle savane, di grandezza e distanza variabile, racchiudendo al loro interno uno spazio brullo. Osservata dall’alto, questa particolare circostanza si mostra in tutta la sua bellezza, dando la sensazione di intere distese puntellate da gocce di pioggia cadute sulla sabbia. Ma cosa c’è alla base dei cerchi delle fate? Finora se ne è dibattuto, qualche ipotesi è stata formulata ma, in realtà, vere e proprie soluzioni non sono mai state fornite.

Una doppia ipotesi

A formularne una nuova, forse quella definitiva, ci ha pensato una ricerca condotta da un gruppo di studiosi dell’Università di Strathclyde e pubblicata sulla rivista scientifica “Nature”. Prima di questa, erano principalmente due le teorie più accreditate, una delle quali attribuiva il “merito” di tali formazioni all’attività sotterranea delle termiti che, mangiucchiando le radici delle piante, contribuivano a conferire la caratteristica forma circolare. La seconda, invece, sosteneva come fossero in realtà le stesse piante a possedere una sofisticata organizzazione a livello ambientale. Nessuna delle due, però, ha mai convinto fino in fondo: alla prima, ad esempio, veniva contestata una sorta di “univocità namibiana” poiché, al di sotto dei cerchi australiani, non sono mai state riscontrate colonie di termiti.

Combinazione vincente

Ora, secondo quanto emerso dall’analisi dei ricercatori dell’università scozzese, la soluzione del mistero sarebbe da ricercare non in una delle singole teorie, ma nella loro combinazione. Nel caso della Namibia, è provato che le termiti mangiano effettivamente le radici nel sottosuolo, provocando la distruzione della vegetazione di superficie e i cerchi d’erba, segnerebbero la linea di demarcazione tra una colonia e l’altra: “Se due colonie della medesima dimensione vengono a contatto tra loro preferiscono definire un confine, invece di distruggersi”, ha spiegato Korina Tarnita, una delle ricercatrici. Nel caso dell’Australia, invece, pur in assenza degli insetti, risulta importante la tipologia di pianta presente: alcune di queste, infatti, costrette a crescere in zone particolarmente aride hanno imparato a sopraffare specie più deboli, letteralmente “rubando” terreno con le loro radici. In questo modo, progressivamente, la terra in superficie tende ad asciugarsi, mantenendo però una certa quantità di umidità interna, fondamentale per la sopravvivenza della pianta la quale, man mano, andrà ad attorniare la porzione soprastante: “I cerchi delle fate – ha concluso Tarnita – ci ricordano il delicato equilibro delle interazioni necessarie al sostentamento degli ecosistemi”.

Ovviamente esistono ancora dei punti oscuri e, tra l’altro, la ricerca è stata finora condotta esclusivamente in ambito di laboratorio. Di certo, però, la nuova ipotesi “combinata” risulta perlomeno plausibile. Ciò non toglie, al netto di ogni possibile scoperta, il fascino delle credenze popolari legate ai “cerchi” che, in qualche modo, hanno contribuito ad alimentarne il mistero e la bellezza.

 

Damiano Mattana

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