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CRACCARE IL CERVELLO PER TROVARE LA COSCIENZA

Quando si parla di coscienza, il passo tra filosofia e neurobiologia è breve. Cosa ci rende consapevoli di noi stessi? Perché sappiamo di esistere? Quale meccanismo ci consente di valutare le nostre azioni in termini di bene e male? Domande che nei secoli sono state oggetto di dissertazioni letterarie e religiose ma alle quali nessuno, sinora, è riuscito a dare risposta.

Negli ultimi decenni il “grande enigma” è diventato oggetto di studi scientifici sempre più approfonditi, volti a comprendere quali interazioni neuronali si attivino in circostanze determinate. Ma passi avanti decisivi, in questo campo, non sono ancora stati compiuti. Insomma: abbiamo una conoscenza sempre più vasta dell’universo, i telescopi ci permettono addirittura di guardare stelle e galassie per com’erano migliaia di anni fa, ma non riusciamo ancora ad avere una piena comprensione di noi stessi. E, tuttavia, in futuro, qualcosa potrebbe cambiare.

Dopo anni di esperimenti fatti per decifrare i meccanismi del cervello, tre gruppi di ricerca di Portogallo, Svizzera e Gran Bretagna hanno deciso di unire le forze per compiere un passo in più per elaborare un’unica teoria generale che spieghi tutti i suoi meccanismi. La chiave per “craccare” i segreti dell’encefalo, come i circuiti molecolari da cui scaturiscono i comportamenti e la stessa coscienza, sarà lavorare con lo stesso modello dei fisici del Cern.

Il piano, spiegato sulla rivista Nature da Zach Mainen, del Champalimaud Centre for the Unknown di Lisbona, Michael Hausser, dello University College di Londra e Alexandre Pouget, dell’università di Ginevra, trae spunto dal modo in cui i gruppi di ricerca sulla fisica delle particelle del Cern preparano i loro esperimenti, e in particolare l’esperimento Atlas, che coinvolge 3.000 fisici. Anche se in questo caso i numeri saranno più contenuti, i principi base della collaborazione sono simili. “Quello che proponiamo è una sorta di ‘Grande teoria unificata’ della ricerca sul cervello”, precisa Mainen. “Non è ancora chiaro se i mega-progetti di ricerca sul cervello partiti in questi anni – aggiunge – che coinvolgono più discipline saranno efficaci. Una volta finanziati, i laboratori spesso tornano a lavorare sulla loro parte di progetto quasi in isolamento”. La loro proposta è invece una collaborazione di fondo tra i ricercatori che nel mondo stanno già lavorando sugli stessi problemi, partendo da piccoli obiettivi, per poi espanderli nel tempo.

L’idea è di far cooperare 10 laboratori con 20 coordinatori scientifici, e 50-100 ricercatori per condurre esperimenti che vadano oltre la portata dei singoli laboratori. Tutto ciò seguendo dei principi semplici, come focalizzarsi su una singola funzione del cervello, combinare ricercatori sperimentalisti e teorici, standardizzare strumenti e metodi, condividere i dati, e assegnare crediti in modo nuovo. Tutti lavoreranno sugli stessi esperimenti, con gli stessi strumenti e gli stessi software. Un progetto positivo negli obiettivi, secondo Giorgio Vallortigara, direttore del Centro Mente/cervello dell’università di Trento, ma il cui obiettivo potrebbe rivelarsi vano. “Non tutti sono convinti che il cervello funzioni secondo un’unica teoria generale – precisa all’Ansa-. Penso piuttosto che sia un insieme di ‘trucchetti’ messi insieme dall’evoluzione per far fronte a diversi problemi, come i meccanismi della memoria, tornare alla tana”. Cercare una teoria generale potrebbe “rivelarsi vano – prosegue -. Forse sarebbe meglio cercare i singoli moduli evolutivi del cervello”.

Francesco Volpi

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