BASTA CON SOLUZIONI “CEROTTO”

Si celebra oggi la giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Persone che sono state da sempre nel cuore della Chiesa ma che con Papa Francesco, di fronte al più vasto movimento migratorio dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi, sono state poste con maggior forza all’attenzione dei cattolici. Il Pontefice ha appena istituito in Vaticano il nuovo dicastero per lo Sviluppo umano integrale e sul tema dei migranti uno dei suoi più stretti collaboratori è il gesuita padre Michael Czerny, sottosegretario del dicastero, sezione Migranti e rifugiati. In Terris lo ha intervistato.

Nel suo messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato Papa Francesco ha centrato l’attenzione “sui migranti minori”. Cosa fa in concreto la Chiesa per rispondere a questa sfida?

L’obiettivo primario dell’azione della Chiesa è garantire la massima protezione a bambini, bambine e adolescenti coinvolti nei diversi processi migratori, i quali, a causa della loro tenera età, si trovano in situazione di particolare vulnerabilità. La Chiesa sollecita la comunità internazionale, i singoli paesi e la società civile a garantire la difesa e la promozione dei diritti di tutti i minori migranti, spronando tutti altresì a adoperarsi per la risoluzione delle problematiche che causano le migrazioni forzate. Nei territori martoriati dalla guerra la Chiesa promuove l’avvio di processi di riconciliazione e di pace. Nelle società di accoglienza essa si impegna perché siano offerti ai minori migranti percorsi d’integrazione adeguati ed efficaci, chiedendo che vengano urgentemente trovate alternative dignitose alla detenzione dei minori non accompagnati e dei figlie e figlie di migranti in situazione di irregolarità. Nel rispetto del sommo valore dell’unità della famiglia, la Chiesa sostiene il diritto al ricongiungimento familiare.

Il S. Padre, nello stesso messaggio ha rivolto un pressante appello per “soluzioni durature”. Qual è stata la risposta finora? Qual è l’obiettivo della campagna mediatica lanciata sui social network?

La costruzione di soluzioni durature spetta in primo luogo alla comunità internazionale. I governi dei singoli paesi sono chiamati a intervenire concretamente al fine di creare le condizioni necessarie per la soluzione dei conflitti e la costruzione di una pace durevole. Non bastano le “soluzioni cerotto”: occorrono “medicine vere”, che attacchino i “virus” che generano miseria, marginalità, discriminazione, odio e conflitto. I paesi con maggiori risorse devono impegnarsi seriamente per garantire ai paesi con meno risorse le condizioni necessarie per raggiungere uno sviluppo umano sostenibile e dignitoso. La curia vaticana nel 2013 ha pubblicato un documento (“Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate”) con una serie di raccomandazioni per i diversi attori in gioco, raccomandazioni che non sono state ancora pienamente accolte. L’obiettivo principale della campagna che la nostra Sezione ha lanciato attraverso i social media è di sensibilizzare l’opinione pubblica, e in particolare i cattolici, sulle sfide che le migrazioni contemporanee stanno lanciando alla nostra solidarietà, ospitalità e cattolicità.

Si calcola che circa il 50% dei migranti forzati oggi siano minori. Nel 2016 in Italia ne sono arrivati 25.772 non accompagnati e aumenta la percentuale di minori a cui non viene riconosciuta alcuna protezione. Come affrontare questo problema? Moltissimi minori, una volta giunti in Italia (ma il fenomeno riguarda tutta l’Europa) spariscono letteralmente, con il concreto rischio di finire nelle mani di trafficanti senza scrupoli, sfruttati nel lavoro nero, nella prostituzione, nelle attività criminali. Il S. Padre ha ripetuto gli appelli per la protezione di questi minori: quanto sono ascoltati?

Il messaggio di quest’anno evidenzia alcune direttrici da seguire relativamente alla problematica dei minori non accompagnati, sottolineando che il criterio di valutazione dei singoli casi deve sempre rifarsi al dovere di difendere e proteggere i più piccoli e indifesi. Ma tale difesa e protezione non può essere assicurata senza avere un’adeguata conoscenza dei processi migratori in cui questi minori si vedono coinvolti, processi spesso tragicamente segnati da abusi, violenze e sofferenze di ogni genere. Più volte il Santo Padre ha ricordato come troppo spesso bambini, bambine e adolescenti finiscono nelle mani di trafficanti senza scrupoli, che guadagnano lautamente sulle crudeltà inferte a questi piccoli. Si nota indubbiamente una maggiore sensibilità della comunità internazionale verso questa terribile problematica, ma non si fa ancora abbastanza. Va dato merito alle molteplici iniziative che sono state avviate, anche in seno alla Chiesa cattolica, a favore della prevenzione e protezione delle giovanissime vittime della tratta e della persecuzione dei responsabili.

Resta il problema più in generale dell’accoglienza. Lo stesso Pontefice nel suo discorso di lunedì al corpo diplomatico ha detto che occorre “valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione”. E’ giusto accogliere tutti? Quale strada si può perseguire?

A tale riguardo, durante il volo di ritorno dalla Svezia il 1 novembre 2016, il Santo Padre ha detto chiaramente che “non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare”. L’accoglienza, fondata saldamente sul principio di solidarietà, deve sempre fare i conti con le risorse che si possono mettere in campo al fine di garantire condizioni di vita degna per gli accolti e processi di integrazione adeguati ed efficaci, in modo che il bene comune dei cittadini (sia quelli autoctoni che i nuovi) si veda non sminuito ma aumentato. Forse non si sta ponderando adeguatamente il fatto che i migranti, anche quelli forzati, rappresentano un’opportunità per le nostre società di crescere culturalmente, spiritualmente ed anche economicamente.

Con l’istituzione del nuovo dicastero il S. Padre ha voluto tenere per sé “ad tempus” la delega su migranti e rifugiati. Lei e padre Baggio siete i suoi più stretti collaboratori in questo settore. Cosa significa lavorare a stretto contatto con il Papa su un tema che gli sta così a cuore? Ha un aneddoto in tal senso da raccontare?

Mettendo questa sezione sotto la sua guida e supervisione personale, il Santo Padre ha inteso esprimere la sua speciale preoccupazione verso i migranti, i rifugiati e le vittime della tratta, i quali hanno bisogno di essere ascoltati, compresi e accuditi in modo speciale. Questa è la vera ragione per la particolare delega. La vastità, la complessità e l’urgenza delle questioni relative al mondo dei migranti e dei rifugiati, assieme alla significanza e profondità della vocazione della Chiesa di Gesù Cristo di accompagnare i migranti e i rifugiati, sono il “primo presupposto” della Sezione e parimenti del compito affidato a P. Baggio e a me. Mi chiede un aneddoto? Certo … entrambi ci siamo particolarmente commossi quando il Santo Padre ci ha detto, “Se c’è qualcosa che posso fare per aiutarvi, basta che me lo facciate sapere!” E’ compito della Sezione allora come noi possiamo essere di aiuto, dove il “noi” deve essere tradotto come “Chiesa” – a livello locale, nazionale, internazionale, universale – e come “fratelli e sorelle di ogni fede e nazionalità”.