Dalle encicliche sociali dei Papi le linee per l’economia italiana

Con il Recovery fund siamo un po’ al punto di partenza. Ci è stato detto, infatti, che i primi fondi arriveranno nella primavera 2021, dobbiamo aspettare abbastanza, ma forse è necessario perché così si ha più tempo per vedere dove e come spendere. Questo sta diventando un grande problema del governo che fondamentalmente dovrebbe fare due cose: la prima coinvolgere tutti nella pianificazione dei fondi e vedere quali interventi sono necessari fari. Questa mancata programmazione sta causando qualche malumore al Quirinale, che sta iniziando a pensare che si sta tergiversando troppo con la programmazione degli interventi. Elemento che l’Europa vuole in quanto c’è la paura che il flusso di fondi in arrivo possa disperdersi in rivoli e rivoletti senza risollevare l’economia locale. Se non facciamo ripartire la nostra economia ne risente un po’ tutta l’Europa in quanto siamo un popolo di consumatori, non solo di produttori.

L’economia italiana deve essere ristrutturata dalle fondamenta. Il cittadino consumatore ha visto erodere negli ultimi trent’anni il proprio potere di acquisto, contraendo la domanda interna che va aiutata, non con interventi come quello del reddito di cittadinanza, ma con una miglior politica di salari e del lavoro di cui si ha molto bisogno. Serve la creazione di buon lavoro che sia il più possibile stabile che permetta alla società di progettare il futuro.

L’Italia ha bisogno di una pianificazione che guardi al futuro, che coinvolga le parti sociali in una grande operazione di ristrutturazione del sistema del lavoro. Noi dobbiamo andare a vedere come era l’economia prevista da alcune encicliche fondamentali come la Populorum progressio e la Mater et Magistra, encicliche sociali con la quale completare la “Fratelli tutti” di Papa Francesco che punta l’indice su alcune storture del sistema economiche internazionale, ma non dà delle risposte certe su cosa sarà dopo. Ma la risposta secondo me è contenuta in queste due encicliche dove si fa un ragionamento sul capitalismo della responsabilità. Mi spiego meglio: non c’è un “no” al capitalismo, non c’è un “no” al mercato, ma c’è una correzione, nuove regole per il capitalista, per l’imprenditore e per l’operaio o il prestatore di manodopera. Sono queste secondo me le linee guida da seguire. Per lo Stato non l’assunzione di un ruolo diretto, ma il ruolo di grande regolatore dei processi produttivi. Ossia ripristinare quella che una volta veniva chiamata l’economia sociale di mercato.