Proprietaria “schiavista” costringe la neo mamma a lavorare in fabbrica col bebè

Lavoro da incubo. E’ quanto accaduto a una neo mamma 26enne di nazionalità cinese che veniva costretta a lavorare poche settimane dopo il parto. La donna – che per legge era ancora in maternità – lavorava in una delle tante fabbriche tessili presenti in Toscana ed era obbligata dalla proprietaria (una connazionale) a portarsi con sé il bebè durante l’orario di fabbrica pur di non venire licenziata.

È quanto hanno accertato i carabinieri di Torrita di Siena che hanno condotto un controllo con il personale dell’ispettorato del lavoro e dell’Usl all’interno di una ditta di proprietà di una cittadina di 45 anni. I militari, oltre alla neo mamma e al piccolo tenuto in una culla all’interno della ditta “luogo potenzialmente insalubre per il minore”, hanno evidenziato un lungo elenco di reati addebitabili alla titolare, che è stata denunciata.

Durante l’ispezione, infatti, i carabinieri hanno scoperto che la donna dava lavoro a un extracomunitario privo di regolare permesso di soggiorno, che – tra l’altro – dormiva e viveva all’interno dell’azienda; praticamente, quasi in “cattività“.

Come se tutto questo non fosse già sufficiente, la titolare aveva infranto un numero non indifferente di regole: aveva attrezzature di lavoro non conformi ai requisiti di legge perché “prive di conformità di sicurezza”; non aveva comunicato agli enti preposti l’assunzione di tre lavoratori (che in definitiva lavoravano in nero) su un totale di 9 impiegati; non aveva nominato il medico competente per i suoi (sfortunati) dipendenti; non aveva assicurato loro una formazione adeguata alla mansione; non aveva reso conformi ai requisiti di legge i luoghi di lavoro; non aveva effettuato la valutazione dei rischi e, ciliegina sulla torta, non aveva nominato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione.

Per questo lunghissimo elenco di reati, nei confronti della donna (oltre alla denuncia) è stato adottato il provvedimento di sospensione coercitiva dell’attività imprenditoriale; inoltre, la titolare ha ricevuto una maxi-multa per un valore di 27.000 euro. “Dura lex, sed lex”, dicevano i latini e (forse) qualche cinese del nuovo millennio; ma non ci sono dubbi che (almeno in questo caso) la penale era giustissima.