TURCHIA, NUOVE PURGHE DI ERDOGAN: RIMOSSI OLTRE 7 MILA POLIZIOTTI

Nuova scia di “purghe” in Turchia dopo il fallito golpe del 15 luglio. Un nuovo decreto sullo stato d’emergenza ha comportato la rimozione di 7.669 agenti di polizia sospettati di avere legami con l’imam Fethullah Gulen, arcinemico di Recep Tayyip Erdogan, considerato dalle autorità di Ankara come la mente del tentato colpo di Stato.

Allontanati anche circa 6 mila dipendenti statali. Si tratta di 1.519 lavoratori della Presidenza per gli affari religiosi (Diyanet), massima autorità islamica nel Paese, 2.018 subordinati del ministero della Salute e 2.346 accademici del Consiglio per l’educazione superiore (Yok), che supervisiona le università.

Il nuovo giro di vita era cominciato giovedì con il defenestramento di 820 militari. Tra loro, 648 erano già in galera. Dal fallito colpo di stato del 15 luglio scorso, sono 4.451 i soldati congedati, compresi 151 generali e ammiragli. E le epurazioni non accennano a finire. Poco dopo i militari, oggi è toccato ai magistrati. Altri 543, finora solo sospesi, sono stati definitivamente rimossi, facendo salire il totale a 3.390.

A un mese e mezzo dal golpe, i dipendenti pubblici che hanno perso il lavoro – tra cui anche insegnanti, poliziotti e burocrati – sono almeno 80 mila, le persone arrestate più di 20 mila. Purghe ancora una volta rivendicate da Erdogan come necessarie per “ripulire” lo stato dai suoi traditori. “Questo non indebolisce il sistema giudiziario, al contrario credo che porterà un contributo significativo nell’attuazione di una vera giustizia”, ha detto il presidente, inaugurando per la prima volta l’anno giudiziario nel suo faraonico palazzo di Ankara. Una nuova forzatura che ha spinto l’associazione degli avvocati e buona parte dell’opposizione a boicottare la cerimonia, rimettendo in discussione il clima di riconciliazione nazionale emerso nelle scorse settimane.

Nel mirino del governo turco restano anche i giornalisti. I reporter attualmente detenuti, secondo i dati raccolti dall’osservatorio per la libertà di stampa P24, sono almeno 108. Senza contare la filologa Necmiye Alpay, consulente del quotidiano filo-curdo Ozgur Gundem, fermata nelle scorse ore con l’accusa di “propaganda terroristica” a favore del Pkk. La maggior parte è finita in manette durante lo stato di emergenza dichiarato dopo il golpe. In totale, nell’inchiesta sul colpo di stato sono stati emessi mandati d’arresto per 82 giornalisti, ma alcuni sono fuggiti all’estero. Tra loro, molti ex di Zaman e di altri media vicini a Gulen. In galera ci sono anche diversi reporter filo-curdi, fermati sfruttando la durissima normativa antiterrorismo. Nel suo incontro di oggi ad Ankara con il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz, il premier Binali Yildirim ha escluso ancora una volta di modificarla, come richiesto invece da Bruxelles per concedere la liberalizzazione dei visti. Che Ankara, dal canto suo, ritiene legata all’accordo di marzo sui migranti.