Caso Moro: il Papa autorizza la testimonianza del presunto confessore dello statista

Da quasi 40 anni il caso Moro si cela dietro una coltre di nebbia. Depistaggi, accuse e teorie del complotto si sono alternate per cercar di fare luce su una vicenda che ha ancora troppi angoli bui. Di sicuro c’è che l’ex presidente della Dc venne ucciso dalla colonna romana delle Brigate Rosse dopo due mesi di detenzione. Sulle cause reali della tragedia della “Notte della Repubblica” ancora molto c’è da scoprire. Una Commissione parlamentare d’inchiesta se ne sta ancora occupando, la stessa che il 9 marzo ascolterà mons.

Antonio Mennini, attuale nunzio apostolico nel Regno Unito, molto vicino a Moro. L’autorizzazione all’esame del presule è stata concessa direttamente da papa Francesco al quale la verità sul giallo interessa più dell’immunità diplomatica di cui gode il vescovo, che sarà sentito a San Macuto, a Roma, e non a Londra sempre per espressa volontà del Pontefice. Il nome di Mennini era stato fatto da Francesco Cossiga, ministro dell’Interno nei giorni del delitto, nel 2010. Durante i “55 giorni” era un giovane sacerdote della parrocchia di Santa Chiara, in piazza dei Giochi Delfici, a poche centinaia di metri dalla casa del leader democristiano e da via Fani, dove avvenne il rapimento. Secondo il defunto presidente emerito della Repubblica fu proprio questo presbitero a confessarlo e ad impartirgli l’Estrema Unzione dove era tenuto prigioniero poco prima di essere giustiziato. “Don Antonello Mennini raggiunse Aldo Moro nel covo delle Brigate Rosse e noi non lo scoprimmo – raccontò Cossiga. Ci scappò don Mennini”.

Per altre fonti fu proprio lui (figlio di Luigi Mennini, allora numero 2 dello Ior) a fungere da “canale di comunicazione” tra i terroristi e la Santa Sede, che trattava per la liberazione dello statista. Subito dopo la tragica fine del sequestro il giovane prete fu destinato dal Vaticano alla carriera diplomatica in Turchia, poi Bulgaria, Federazione Russa, Uzbekistan, infine Gran Bretagna. Il sospetto di un “promoveatur ut amoveatur” è quello che ha drizzato le antenne della Commissione di inchiesta che ora, grazie al Santo Padre, potrà parlare direttamente con l’arcivescovo, che resterà nella Capitale solo il tempo strettamente necessario per l’esame.