«Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» «Omnis ex vobis, qui non renuntĭat omnĭbus, quae possĭdet, non potest meus esse discipŭlus»
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Il Vangelo di oggi è in stretta continuità con quello di ieri (Lc 14,15-24). Per essere beati così come per entrare nel regno, per essere suoi discepoli così come per vincere la battaglia, la porta stretta attraverso cui passare (Mt 13,24) è sempre la medesima: farsi poveri. Ora, però, la ricchezza cui rinunciare non è solo quella propriamente detta: il campo da andare a vedere, o i buoi da valutare (Lc 14,18-19). È anche ogni affetto: la moglie da sposare, la propria famiglia, padre e madre, fratelli e sorelle, figli. Cosa c’è di sbagliato in simili affetti? Perché occorre rinunciarvi?
Il problema è comprendere con quali armi si possa vincere la battaglia: come cioè la vita possa trionfare sulla morte, la comunione sulla divisione, la verità sulla menzogna. Se l’arma è la povertà, la rinuncia ad ogni avere, il significato positivo di questa negazione, il recto di questa moneta, è il dono: interpretare la vita quale dono ricevuto ed offerto è partecipare fin d’ora alla cena preparata dal padrone. Ecco dunque perché rinunciare anche agli affetti più cari: se essi sono vissuti come possesso, diventano arma del Nemico; nella misura in cui invece sono vissuti come dono, dilatano il cuore, fino a renderlo simile a quello di Dio. Ed ecco perché portare la propria croce: solo nel dono di sé si realizza la vittoria sul male (Rm 12,21) e ci si trasforma da sepolcri imbiancati (Mt 23,27) in sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14).
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