La pace interiore ferma il conflitto globale

Pace
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L’amore è l’unico antidoto al veleno della guerra. Nell’imperitura testimonianza di Madre Teresa è racchiusa una profonda lezione di pace: “La sensazione più piacevole? La pace interiore. Non abbiamo bisogno di pistole e bombe per portare pace, abbiamo bisogno di amore e compassione”. Purtroppo, invece, “troppa violenza, troppo sangue”, avverte il Papa: “Stiamo dimostrando che in noi c’è ancora lo spirito di Caino che guarda Abele non come un fratello ma come un rivale da eliminare”. Nel discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Francesco è andato oltre il concetto di “terza guerra mondiale a pezzi”, osservando che quello attuale è “un vero e proprio conflitto globale”.

Oggi la pace è “sempre più minacciata, indebolita e in parte perduta“. Quella costruita dal Pontefice, nei suoi viaggi, nei suoi incontri e nell’attività diplomatica della Chiesa, è una “geopolitica della misericordia” che, lungi dal rappresentare una debolezza, si trasforma al contrario in un motivo di forza e autorevolezza. Ciò emerge in innumerevoli snodi del Magistero, ad esempio, nel gesto umile e decisivo dell’indizione di un giorno di digiuno e preghiera per fermare il massacro in Siria, o nella determinante mediazione di Jorge Mario Bergoglio nei rapporti tra Usa e Cuba.

Ecco l’Ecclesia libera, povera, ancorata alla vera ricchezza che le viene da Dio. La pace proposta dal Pontefice è simile alla speranza di cui parla il poeta Charles Péguy. Ossia è come un fiore fragile che cerca di sbocciare in mezzo alle pietre della violenza. Al contrario la ricerca del potere ad ogni costo porta ad abusi e ingiustizie. La politica è un veicolo fondamentale per “costruire la cittadinanza e le opere dell’uomo”, ma quando, da coloro che la esercitano, non è vissuta come servizio alla collettività umana, può diventare “strumento di oppressione, emarginazione e persino distruzione”.

A oltre un secolo dalla Prima Guerra Mondiale, l’umanità – dall’Ucraina a Gaza, dal Corno d’Africa alle persecuzioni asiatiche- sprofonda nuovamente nella crudeltà dei combattimenti tra popolazioni civili dilaniate, guerre fratricide, pace ridotta al solo equilibrio delle forze e della paura. “Tenere l’altro sotto minaccia vuol dire ridurlo allo stato di oggetto e negarne la dignità”, insegna Francesco. L’escalation di intimidazioni e la proliferazione incontrollata delle armi sono “contrarie alla morale e alla ricerca di una vera concordia”, mentre “il terrore esercitato sulle persone più vulnerabili contribuisce all’esilio di intere popolazioni nella ricerca di una terra di pace”.

A suscitare sconcerto e preoccupazione è soprattutto la condizione dei bambini che vivono nelle zone di conflitto. “Nel mondo, un bambino su sei è colpito dalla violenza della guerra e dalle sue conseguenze oppure è arruolato per diventare egli stesso soldato o ostaggio dei gruppi armati – deplora Francesco – . La pace, invece, è frutto di un grande progetto politico che si fonda sulla responsabilità reciproca e sull’interdipendenza degli esseri umani. Ma è anche una sfida che chiede di essere accolta giorno dopo giorno”.

La pace, quindi, è una conversione del cuore e dell’anima. Perciò il Papa indica tre dimensioni indissociabili della pace interiore e comunitaria. Ossia la pace con se stessi che rifiuta l’intransigenza, la collera e l’impazienza. Al riguardo San Francesco di Sales consigliava “un po’ di dolcezza verso sé stessi” così da offrire “un po’ di dolcezza agli altri”. C’è poi la pace con l’altro, cioè il familiare, l’amico, lo straniero, il povero, il sofferente, attraverso l’incontro e l’ascolto del messaggio che porta con sé.

Inoltre c’è la pace con il creato mediante la riscoperta della grandezza del dono di Dio e la parte di responsabilità che spetta a ciascun abitante del mondo quale “cittadino e attore dell’avvenire”. E’ in virtù di ciò che sulla guerra a Gaza, Jorge Mario Bergoglio si appella “a tutte le parti coinvolte per un cessate-il-fuoco su tutti i fronti, incluso il Libano, e per l’immediata liberazione di tutti gli ostaggi”. Chiede “che la popolazione palestinese riceva gli aiuti umanitari e che gli ospedali, le scuole e i luoghi di culto abbiano tutta la protezione necessaria”.

Auspica “che la comunità internazionale percorra con determinazione la soluzione di due Stati, uno israeliano e uno palestinese”. Come pure di “uno statuto speciale internazionalmente garantito per la Città di Gerusalemme, affinché israeliani e palestinesi possano finalmente vivere in pace e sicurezza”. Giovanni XXIII, grazie al Concilio ecumenico e alla “Pacem in Terris”, si propone come una voce profetica in un periodo di guerra fredda, mentre a livello pastorale ed ecclesiologico la Chiesa si pensa a tutto tondo, ovvero come fattore di comunione nella diversità, o anche quale popolo di Dio in cui diversi carismi e ministri concorrono all’edificazione corresponsabile del regno di Dio.

A sua volta papa Francesco, con il continuo richiamo a una fede autentica (da incarnare), capace di toccare il vissuto degli “scartati” della terra e dell’economia, si mette in mite controtendenza rispetto a quella che lui stesso denomina appunto “la terza guerra mondiale a pezzi”. Infatti, nel volo di ritorno dal viaggio apostolico in Corea, rispondendo ad un giornalista giapponese ha detto: “E oggi noi siamo in un mondo in guerra, dappertutto! Qualcuno mi diceva: ‘Lei sa, Padre, che siamo nella Terza Guerra Mondiale, ma a pezzi? Ha capito? È un mondo in guerra, dove si compiono queste crudeltà”.

Adesso Francesco si dice “scioccato” dall’attacco terroristico “del 7 ottobre contro la popolazione in Israele, dove sono stati feriti, torturati e uccisi in maniera atroce tanti innocenti e molti sono stati presi in ostaggio”, e ribadisce la “condanna per tale azione e per ogni forma di terrorismo ed estremismo”. Ma la “forte risposta militare israeliana a Gaza” ha portato “la morte di decine di migliaia di palestinesi, in maggioranza civili, tra cui tanti bambini, ragazzi e giovani, e ha causato una situazione umanitaria gravissima con sofferenze inimmaginabili”. In questo modo il conflitto “destabilizza ulteriormente una regione fragile e carica di tensioni”.

In Ucraina, poi, “dopo quasi due anni di guerra su larga scala della Federazione Russa”, sottolinea, “la tanto desiderata pace non è ancora riuscita a trovare posto nelle menti e nei cuori, nonostante le numerosissime vittime e l’enorme distruzione”. Dunque “non si può lasciare protrarre un conflitto che va incancrenendosi sempre di più, a detrimento di milioni di persone, ma occorre che si ponga fine alla tragedia in atto attraverso il negoziato, nel rispetto del diritto internazionale”.

Secondo Gandhi, nessuna civiltà potrà essere considerata tale se cercherà di prevalere sulle altre. E, per Francesco, “le guerre moderne non si svolgono più solo su campi di battaglia delimitati, né riguardano solamente i soldati: non c’è conflitto che non finisca in qualche modo per colpire indiscriminatamente la popolazione civile e gli avvenimenti in Ucraina e a Gaza ne sono la prova”. Già Eleanor Roosevelt aveva rilevato come non sia sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci. E non basta crederci. Bisogna lavorarci sopra.