Migrare è un diritto: lo sviluppo umano integrale

Adriatico
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Papa Francesco ha ricordato il sessantesimo anniversario dell’enciclica “Pacem in terris” che San Giovanni XXIII “indirizzò alla Chiesa e al mondo nel pieno della tensione tra i due blocchi contrapposti nella cosiddetta guerra fredda, aprendo davanti a tutti l’orizzonte ampio in cui poter parlar di pace e costruire la pace, il disegno di Dio sul mondo e la sua famiglia umana”. Per Francesco quella enciclica “fu una vera benedizione, come uno squarcio di sereno in mezzo a nubi oscure”. Il suo messaggio “è attualissimo”, sottolinea il Papa, citandone un intero passo, il punto 62: “I rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante”.

L’ultima enciclica pubblicata da papa Giovanni XXIII sessanta anni fa si occupa anche di diritti e doveri. La “Pacem in terris” non trascura il fenomeno della migrazione. Il numero 12 reitera il diritto di migrare, i numero 57 e 58 trattano la questione dei profughi politici. Si tenga presente che nel contesto storico in cui veniva elaborata l’enciclica, la normativa internazionale riguardante le migrazioni abbracciava la definizione del rifugiato come persona che ha attraversato il confine internazionale in seguito a un fondato timore della persecuzione nei paesi del blocco URSS. Superando un contesto giuridico quanto mai riduttivo, la “Pacem in terris” considera tutti i profughi politici come titolari di diritti e di libertà alla pari dei cittadini. Con una tale apertura segnalava alla comunità internazionale la necessità di ampliare il raggio della protezione internazionale – ossia di attribuire lo status di rifugiato – alle persone che fuggono da tutti i regimi politici dittatoriali e autoritari. Nell’odierno contesto di massicci flussi misti di migranti e profughi l’insegnamento di Giovanni XIII viene così ad assumere un nuovo significato.

Di questa valenza se ne fa portatore, in particolare, papa Francesco. Il suo invito di aprire le braccia alle persone vulnerabili in movimento – accogliendo, proteggendo, promovendo e integrando i migranti e i rifugiati bisognosi – ne è una chiara conferma e attraversa come un filo rosso tutto il suo magistero. Tra gli ultimi documenti pastorali elaborati sotto la guida di papa Francesco vale la spesa menzionare gli Orientamenti sulla Pastorale Migratoria Interculturale, testo predisposto dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero Vaticano per lo Sviluppo Umano Integrale. Gli Orientamenti avanzano alcune proposte relativamente alla pastorale nei contesti multietnici, traducendo in maniera concreta l’invito del Pontefice – suggerito nella Fratelli tutti – a far crescere una cultura dell’incontro.  In definitiva, la “Pacem in terris”, presenta un arco articolato e complesso di diritti (che sono da intendersi come diritti universali, inviolabili, inalienabili, indivisibili: ad esempio i diritti civili e politici non si possono realizzare senza i diritti sociali) e di doveri.

Pietro Pavan, principale estensore materiale della PT, introduce in essa la prospettiva secondo cui lo Stato di diritto va trasceso e completato con lo Stato sociale. Nel caso contrario lo Stato di diritto, proprio di una visione liberale dello Stato, rimane uno Stato democratico a metà. L’effettivo riconoscimento dei diritti civili e politici implica il corrispondente riconoscimento dei diritti a contenuto religioso, economico, sociale e culturale. Questo approccio aiuta senz’altro a contrastare i settori dell’opinione pubblica, di politici e di schieramenti politici, ancora vivi oggi, secondo i quali il necessario risanamento dei conti pubblici e la crescita sono da conseguire, in un contesto di crisi finanziaria e di recessione economica, anche a prezzo della riduzione dei diritti sociali, dello smantellamento dello Stato sociale e delle reti di solidarietà della società civile, nonché della sospensione della democrazia. Si parla qui di diritti fondamentali, non dell’insieme delle iniziative, dei benefit e dei piani predisposti dal datore di lavoro per migliorare la qualità del lavoro e della vita del dipendenti e che rientrano in quello che viene definito come Welfare aziendale (dalla mensa alle prestazioni sanitarie, da permessi e congedi per conciliare lavoro e vita personale e familiare alla partecipazioni a soggiorni estivi e ad attività educative per i figli minori, fino ad arrivare alle borse di studio per studenti meritevoli).

Così, aiuta a tutelare e a promuovere il diritto al lavoro, che oggi viene sottodimensionato da quella cultura neoliberista, tipica del capitalismo finanziario sregolato, secondo cui il lavoro è un «bene minore» o addirittura un bene marginale. I diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di pretese e di rivendicazioni praticamente illimitata e priva di criteri. L’assolutizzazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri. I doveri delimitano i diritti perché rimandano al quadro antropologico ed etico entro la cui verità anche questi ultimi si inseriscono e così non diventano arbitrio. Per questo motivo i doveri rafforzano i diritti e propongono la loro difesa e promozione come un impegno da assumere a servizio del bene. Se, invece, i diritti dell’uomo trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un’assemblea di cittadini, essi possono essere cambiati in ogni momento e, quindi, il dovere di rispettarli e perseguirli si allenta nella coscienza comune. I Governi e gli Organismi internazionali possono allora dimenticare l’oggettività e l’“indisponibilità” dei diritti. Quando ciò avviene, il vero sviluppo dei popoli è messo in pericolo. Comportamenti simili compromettono l’autorevolezza degli Organismi internazionali, soprattutto agli occhi dei Paesi maggiormente bisognosi di sviluppo. Questi, infatti, richiedono che la comunità internazionale assuma come un dovere l’aiutarli a essere “artefici del loro destino”, ossia ad assumersi a loro volta dei doveri. La condivisione dei doveri reciproci mobilita assai più della sola rivendicazione di diritti».

Per parte sua, papa Francesco fa presente che oggi trascinandoci in una logica perversa e vuota, «si verifica un’assimilazione dell’etica e della politica alla fisica. Non esistono il bene e il male in sé, ma solamente un calcolo di vantaggi e svantaggi. Lo spostamento della ragione morale ha per conseguenza che il diritto non può riferirsi a una concezione fondamentale di giustizia, ma piuttosto diventa uno specchio delle idee dominanti.