La notizia l'aveva data con un mese di preavviso, Andrea Pirlo. Eppure, abituarsi a pensare al calcio senza i lanci illuminanti, le punizioni micidiali e la classe immensa di uno dei più grandi calciatori della storia di questo sport è operazione che richiede qualcosa in più di 30 giorni. Questo anche perché, a ben vedere, con l'addio al calcio del regista campione del mondo si chiude un'altra di quelle pagine calcistiche che non si vorrebbero mai chiudere davvero. Per carità, è giusto così: i tempi cambiano, le vecchie generazioni devono (per forza di cose) lasciare il posto alle nuove e rinnovare, nel bene e nel male, il modo di fare e interpretare il gioco del calcio. Il problema è che la nostalgia gioca sporco: con Pirlo, esce dalle scene calcistiche non solo uno degli emblemi della storia recente del calcio italiano ma anche un altro degli eroi di Berlino, che ha detto basta alla vigilia di uno degli incontri più importanti dell'epoca recente della nazionale. Una sorta di passaggio di testimone, fra chi sul tetto del mondo ci è salito e chi, per ambire a salirci, dovrà affrontare lo scoglio dello spareggio. A lui non era mai capitato: quella di Pirlo era un'altra Italia e, più in generale, un altro calcio.
E ora che si fa? Come accaduto per i 'vari' Del Piero, Inzaghi, Totti e compagnia, al tifoso non resta che adeguarsi, lasciando l'occhio al calcio giocato e una mano sull'album dei ricordi. Per quanto riguarda l'ormai ex calciatore, si vedrà. Di certo, le opzioni non mancano: dirigente, ambasciatore, magari allenatore… Ci penserà con calma. Nel frattempo, come prevedibile, il mondo del calcio internazionale si è affrettato a salutare il grande calciatore, popolando di post e amarcord le bacheche dei principali social network. Anche questo, a bene vedere, è un segno dei tempi che cambiano: i saluti “social” sono rapidi, immediati, come il calcio di oggi. Magari c'è meno tempo per l'intuizione o per il ragionamento: le due qualità che, convogliate in una capacità innata di adattarsi all'evoluzione dello sport, Pirlo ha saputo incarnare sul terreno di gioco.
Chissà, consapevoli delle eredità che i nuovi uomini azzurri stanno man mano raccogliendo, il desiderio di imitare gli ultimi campioni del mondo tricolori potrebbe essere più forte della paura di sbagliare. Dalla finale di Berlino sono trascorsi 11 anni, durante i quali sono stati giocati altri due Mondiali, in Sudafrica e in Brasile, entrambi da dimenticare. Ora si gioca (di nuovo) in Europa, con l'obbligo di tornare a fare sul serio: davanti all'Italia di Ventura c'è la Svezia, di certo non un avversario che consegnerà le proprie armi senza combattere. Ma anche questo, se ci si pensa, è pane per l'Italia.
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