Opinione

Il pianeta che speriamo

Dalla 49° Settimana sociale, tenutasi a fine ottobre a Taranto, arricchito e stimolato, il pensiero va alla cura del pianeta, e dell’umanità, tenendo conto dell’ambiente, del lavoro e del futuro perché tutto è connesso. L’emergenza sanitaria accelera i cambiamenti in considerazione del fatto che gli scenari, l’economia, la democrazia, la società sono già mutati. Ormai, la società industriale, sulla quale si sono costruiti nel Novecento i vari miracoli economici, ha perso il primato a favore della società post-industriale.

Al mercato locale e poi nazionale, si è aggiunto il mercato europeo e, su tutti incombe sempre più in maniera decisiva il mercato globale, quello senza regole e senza limiti. Con l’avvento di Internet, si marcia verso un mercato digitale, dove alla piazza del mercato del paese si affianca sempre più il luogo virtuale del mercato. In questo inarrestabile processo, caratterizzato da una continua trasformazione, i lavoratori sono costretti a variare spesso tipo di lavoro, con la conseguenza che le nuove generazioni dovranno abituarsi a fare più lavori nella vita, acquisendo estemporaneamente capacità e abilità separabile per i vari tipi di professione, che saranno chiamati a svolgere.

Cosa succede in una società, come la nostra, fondata sul lavoro, come recita l’art. 1 della Costituzione italiana, se oggi il lavoro diventa sempre più raro, al punto che molti giovani, per scoraggiamento e per assenza di alternative, rinunciano anche a cercarlo? Non solo rinunciano a studiare, spesso, anche troppo presto, ma soprattutto rinunciano ad essere protagonisti della loro vita. I lavoratori precari, i disoccupati in cerca di lavoro e che non lo trovano, gli scoraggiati che non hanno più la forza di cercarlo, e i sottoccupati, che lavorano solo qualche ora al mese senza riuscire a superare la soglia di povertà, rappresentano una ferita aperta per la società e la democrazia costituzionale. Non è azzardato affermare che la situazione, anche a causa della pandemia, è drammaticamente peggiorata. Pertanto, ci vuole una svolta, che verrà, come ha detto il Papa, solo se sapremo formare le coscienze a non cercare soluzioni facili a tutela di chi è già garantito, ma formando le coscienze affinché propongano processi di cambiamento duraturi, a beneficio delle giovani generazioni.

L’appello non può che essere rivolto, in prima battuta, al Governo, il quale proprio in questi giorni sta predisponendo i provvedimenti per l’impiego dei fondi europei che, per l’appunto, prendono la denominazione di NextGenerationEU (Unione Europea di nuova generazione). Insieme alle Istituzioni, però, tutti siamo chiamati a dare segni di solidarietà; tutti siamo chiamati a essere lievito che fa fermentare la pasta (Mt 13,33). In questa fase di crisi sanitaria, oltre che economica e sociale, come nel 2008, sorge l’interrogativo, sempre con maggiore intensità, se la direzione in cui l’umanità procede sia quella giusta. La domanda dell’“uomo di buona volontà” è che cosa si debba, e si possa, fare per scongiurare il proseguimento di una situazione sociale ed economica, ma anche culturale, così deprimente.

In questo momento, quasi post emergenziale, si evidenziano tutte le debolezze di un sistema sociale, economico e istituzionale, che ha bisogno di correttivi. Quello che non deve mancare è una guida che ci indichi quale sia il percorso, verso il bene comune, per evitare di riprendere, senz’accorgersene, perché già ripiombati nella frenetica quotidianità consumistica, la strada che ci ha portato, più o meno consapevolmente, fino a qui. Nei prossimi mesi, il focus sarà cercare di definire quale sia il modello di sviluppo, economico ma anche sociale, nella transizione ecologica, partendo da un confronto di quali possano essere le scelte per la nostra comunità rispetto al futuro, con la consapevolezza del presente e la condizione dell’inclusione di tutto e tutti, perché non possiamo lasciare in dietro niente e nessuno.

Bruno Di Giacomo Russo

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