Opinione

L’impegno della Santa Sede a difesa della vita

Il mondialismo delle organizzazioni internazionali rappresenta una grave minaccia alla sacralità della vita dal concepimento al termine naturale. Già nel 1994 la Santa Sede alzò la voce alla conferenza internazionale dell’Onu sulla popolazione e lo sviluppo al Cairo. Come non ebbe esitazioni né timori a contrapporsi al comunismo e al capitalismo, allo stesso modo Karol Wojtyla puntò l’indice contro le croniche inefficienze e i drammatici errori di fondo delle organizzazioni internazionali.

Il cardinale Renato Raffaele Martino, Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu durante la conferenza del Cairo, ha raccontato quello snodo fondamentale del pontificato di Giovanni Paolo II nella memoria “La testimonianza della verità e il dialogo politico-diplomatico” pubblicata sul “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” nel 2014. Racconta Martino: «In veste di nunzio apostolico presenziai sia alla conferenza al Cairo, la cui organizzazione fu affidata al controverso “Fondo specializzato per la popolazione”, sia alla conferenza sulle donne di Pechino che l’anno successivo ne mutuò in blocco le formulazioni sulla salute e sulla decostruzione della sessualità responsabile». E cioè «dall’individuazione della categoria-chiave del gender all’idea stupefacente che solo i bambini realmente voluti hanno diritto a nascere», oltre a «un sensibile passo indietro nel campo della libertà religiosa».

La Santa Sede riaffermò le profonde motivazioni del progetto biblico di Dio sull’uomo, che è un piano di bontà e di felicità, ribadendo l’immagine del divino che ogni uomo a ogni latitudine porta con sé e sulla natura fondamentalmente relazionale di ogni persona, quindi «il campo della sessualità rientra comunque nella sfera sociale, interpersonale e dunque pubblica dell’agire umano». Ma l’agenda programmatica della conferenza dell’Onu, appoggiata da Stati Uniti e Unione Europea, stabilì l’imposizione arbitraria di qualsiasi mezzo per il controllo delle nascite o pianificazione familiare. Per la Santa Sede si trattava di «un invito all’immoralità di massa e al libero crimine nel caso dei bambini già concepiti».

Giovanni Paolo II non esitò mai a prendere di petto le organizzazioni internazionali, così il 5 ottobre 1995, il giorno in cui viene annunciato il cessate il fuoco nella guerra in Bosnia ed Erzegovina, prese la parola all’Onu: «Nessuno, né uno Stato, né un’altra nazione, né un’organizzazione internazionale, è mai legittimato a ritenere che una singola nazione non sia degna di esistere». E aggiunse: «Il mondo purtroppo deve ancora imparare a convivere con la diversità. Come i recenti eventi nei Balcani e nel centro Africa ci hanno dolorosamente ricordato. La risposta alla paura dell’altro non è la coercizione, né la repressione o l’imposizione di un unico modello sociale al mondo intero».

Karol Wojtyla non arretrò di un passo di fronte all’aggressione portata a termine dalla conferenza dell’Onu del Cairo contro il diritto alla vita. «La libertà non è semplicemente assenza di tirannia o di oppressione, né è licenza di fare tutto ciò che si vuole – disse Giovanni Paolo II dal podio dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite –. La libertà possiede una “logica” interna che la qualifica e la nobilita: essa è ordinata alla verità e si realizza nella ricerca e nell’attuazione della verità. Staccata dalla verità della persona umana, essa scade, nella vita individuale, in licenza e, nella vita politica, nell’arbitrio dei più forti e in arroganza del potere».

Gianfranco Svidercoschi

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