Opinione

17 anni senza Karol Wojtyla. L’eredità di quel 2 aprile

Il 2 aprile del 2005 era un sabato. Karol Wojtyla sussurrò a suor Tobiana: “Lasciatemi andare dal Signore” Poi, il suo cuore si fermò. E, già qui, c’era una prima eredità che Giovanni Paolo II lasciava: da uomo, prima che da Papa. E cioè, lui che era stato acclamato come “John Paul Superstar”, come “il Papa globetrotter”, vigoroso, atletico, osannato in tutto il mondo, e ora invece era un povero vecchio impedito di camminare, impedito di parlare, ebbene, voleva ricordare- a una società ossessionata dal vitalismo, dall’efficientismo, dalla sublimazione del corpo- come si possano vivere le diverse stagioni della vita con dignità, con serenità. E, soprattutto, come si possa affrontare con coraggio anche una prova così sconvolgente, così “definitiva”, come la morte.

Quel 2 aprile era anche e soprattutto la vigilia della festività della Divina Misericordia. Difficile pensare che fosse stata solo una “coincidenza”. Era stato lui, Giovanni Paolo II, a riscoprire e rilanciare quello che è uno degli attributi centrali di Dio e del suo amore senza confini. Era stato lui, a istituire quella festa. Era stato lui, a dedicare alla Misericordia il suo miglior documento, la lettera apostolica Dives in Misericordia; e dove c’era, in controluce, il senso profondo della sua vita e del suo progetto di rinnovamento della Chiesa. Prima ancora di compiere gli ottant’anni, aveva chiesto agli esperti se fosse stato il caso, in quelle condizioni, di dare le dimissioni; e, dopo la risposta negativa (comunque aveva predisposto ugualmente tutto, nel caso ce ne fosse stato bisogno), decise di fronte a Dio di proseguire la sua missione, almeno fino a quando ne avrebbe avuto le forze. Così, aveva continuato ad assolvere i suoi impegni, senza mai far pesare la sua malattia, le sue sofferenze, sulla Curia, sulla Chiesa universale. Resistette fin quando poté.

Per la prima volta, non ce la fece a partecipare alla Via Crucis al Colosseo. A Pasqua, si affacciò alla finestra dello studio, ma non riuscì a pronunciare la benedizione. Sentendo avvicinarsi la fine, volle congedarsi da tutti i suoi collaboratori, e anche da Francesco, l’uomo che curava la pulizia nell’appartamento pontificio. Molto in sintesi, la “Dives in Misericordia” era un invito alla Chiesa molto diretto, molto esigente. Un invito, non solo a professare la misericordia di Dio, non solo a immetterla nella vita dei fedeli; ma anche, se la Chiesa vuole essere veramente specchio fedele di Cristo, tornare a mostrarsi più misericordiosa, più pronta al perdono: “Non le è lecito, a nessun patto, di ripiegarsi su se stessa. La ragione del suo essere è, infatti, quella di rivelare Dio“.

Gianfranco Svidercoschi

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