Il Papa ai sacerdoti: “Nella Messa non andate di fretta”

Possa la liturgia diventare per tutti noi una vera scuola di preghiera“. Con queste parole Papa Francesco ha concluso la catechesi dell'udienza generale che in queste settimane sta dedicando alla Santa Messa. La meditazione di oggi era incentrata sul “Gloria” e sull'orazione colletta. Nell'aula Paolo VI erano presenti circa 7.000 fedeli.

Il Gloria, ha detto il S. Padre, è “un'apertura della terra verso il cielo”. La recita o il canto di questo inno, che “riprende il canto degli Angeli alla nascita di Gesù a Betlemme, gioioso annuncio dell’abbraccio tra cielo e terra”, arriva dopo l’atto penitenziale che “ci aiuta a spogliarci delle nostre presunzioni e a presentarci a Dio come siamo realmente, coscienti di essere peccatori, nella speranza di essere perdonati. Proprio dall’incontro tra la miseria umana e la misericordia divina prende vita la gratitudine espressa nel Gloria”. “I sentimenti di lode che percorrono l’inno si intrecciano con l’implorazione fiduciosa della benevolenza divina – ha proseguito il Papa – per concludersi con la dossologia trinitaria, che qualifica tutta la celebrazione liturgica. Possiamo dire che il Gloria, cantato o recitato nelle domeniche – escluse quelle di Avvento e di Quaresima – come pure nelle solennità e nelle feste, costituisce un’apertura della terra verso il cielo, in risposta al chinarsi del cielo sulla terra”.

Quanto all'orazione colletta, il Papa si è soffermato in particolare sul silenzio che deve seguire l'invito a pregare rivolto dal sacerdote al popolo: “un momento di silenzio, e uno pensa alle cose di cui ha bisogno, che vuol chiedere, nella preghiera – ha detto a braccio – al fine di prendere coscienza di stare alla presenza di Dio e far emergere, ciascuno nel proprio cuore, le personali intenzioni con cui partecipa alla Messa. Il silenzio non si riduce all’assenza di parole, bensì nel disporsi ad ascoltare altre voci: quella del nostro cuore e, soprattutto, la voce dello Spirito Santo. Nella liturgia – ha spiegato il Pontefice – la natura del sacro silenzio dipende dal momento in cui ha luogo”. Dunque, prima dell’orazione iniziale, “il silenzio aiuta a raccoglierci in noi stessi e a pensare al perché siamo lì. Ecco allora l’importanza di ascoltare il nostro animo per aprirlo poi al Signore. Forse veniamo da giorni di fatica, di gioia, di dolore, e vogliamo dirlo al Signore, invocare il suo aiuto, chiedere che ci stia vicino; abbiamo familiari e amici malati o che attraversano prove difficili; desideriamo affidare a Dio le sorti della Chiesa e del mondo. A questo serve il breve silenzio prima che il sacerdote, raccogliendo le intenzioni di ognuno, esprima a voce alta a Dio, a nome di tutti, la comune preghiera che conclude i riti d’introduzione, facendo appunto la 'colletta' delle singole intenzioni”.

Francesco ha insistito molto su questo aspetto: “Raccomando vivamente ai sacerdoti di osservare questo momento di silenzio, che senza volerlo rischiamo di trascurare, non andare di fretta. Senza questo silenzio rischiamo di trascurare il raccoglimento dell’anima“. Poi ha aggiunto: “Qual è il contenuto di questa orazione (colletta, ndr)? In breve, va dalla lode alla supplica (…) Il sacerdote la recita con le braccia allargate: è l’atteggiamento dell’orante, assunto dai cristiani fin dai primi secoli – come testimoniano gli affreschi delle catacombe romane – per imitare il Cristo con le braccia aperte sul legno della croce. Egli è l’Orante ed è insieme la preghiera! Nel Crocifisso riconosciamo il Sacerdote che offre a Dio il culto a lui gradito, ossia l’obbedienza filiale. Nel Rito Romano le orazioni sono concise ma ricche di significato. Tornare a meditarne i testi, anche fuori della Messa, può aiutarci ad apprendere come rivolgerci a Dio, cosa chiedere, quali parole usare. Si possono fare tante belle meditazioni su queste orazioni” ha aggiunto a braccio.