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Una mecenate in camice bianco

Una donna, una mamma, una ricercatrice. Antonella Viola è tutto questo. Nata nel 1969, madre di due bambini di 14 e 12 anni, di mestiere fa l’immunologa, si occupa in particolare delle difese immunitarie contro il cancro. Dopo un’importante esperienza scientifica all’estero e diversi riconoscimenti, ha ottenuto dal Consiglio Europeo della Ricerca, l’Erc Advanced Grant 2014. E’ una sorta di Oscar della scienza conquistato con il suo progetto “Steps” che investiga sulle molecole causa del cancro. Il premio consiste in una somma in denaro, di due milioni e mezzo di euro, che Antonella ha scelto di investire in Italia. Al Vimm, Istituto Veneto di Medicina Molecolare, di Padova. Qui potrà stipendiare un team di giovani ricercatori, lanciando così un messaggio preciso: far rimanere nel proprio Paese i cervelli migliori.

Come si è svolta la sua carriera universitaria? Com’è nata la passione per il suo lavoro, la vocazione scientifica?

La passione per la ricerca scientifica è nata con me. Mia madre racconta sempre di come da bambina io non fossi capace di resistere alla tentazione di smontare i giocattoli per capirne il funzionamento e delle letterine di Natale in cui chiedevo microscopi e telescopi.
Dopo la laurea a Padova e un dottorato di ricerca in biologia evoluzionistica volevo provare a fare un salto di qualità, andando a lavorare in quella che 20 anni fa era considerata “La Mecca” dell’immunologia: il Basel Institute of Immunology, a Basilea. Riuscii ad ottenere un contratto di 6 mesi come “visiting scientist”: lasciai a Padova un’offerta di lavoro a tempo indeterminato e partii per inseguire il mio sogno. Dopo i 6 mesi divenni il più giovane membro scientifico dell’istituto e rimasi a lavorare lì per quasi 5 anni, intensi e molto produttivi. Nel 2001 rientrai a Padova per dirigere il laboratorio di immunologia presso l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) per poi trasferirmi a Milano per dirigere il laboratorio di Immunità Adattativa presso l’Istituto Clinico Humanitas. Da quest’anno sono di nuovo a Padova come professore associato di Patologia Generale alla Facoltà di Medicina.

Il premio del Consiglio Europeo della Ricerca, l’Erc Advanced Grant 2013, le è stato assegnato per il progetto “Steps”, può spiegare ai non addetti ai lavori in cosa consiste?

Il progetto STePS, della durata di cinque anni, si pone l’obiettivo di capire come funzionano i macrofagi, le cellule che hanno il compito di inglobare e distruggere i patogeni, gli agenti responsabili dell’insorgenza delle malattie. Conoscere come il macrofago regola la sua attività risulta cruciale per due motivi: per poterlo potenziare nel caso di infezioni e al contrario per attenuarlo quando “lavora” così tanto da causare una risposta immunitaria smisurata, in cui anche i tessuti sani rischiano di essere danneggiati.

Da dove nasce la decisione di portare il denaro vinto al Vimm di Padova?

Padova è la mia città di adozione ed è un legame che si è confermato forte nel tempo. Il Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e il VIMM sono due ambienti di rara eccellenza scientifica. Il mio gruppo al momento è composto da 8 persone, alcuni dei miei collaboratori lavorano con me da diversi anni ma la maggior parte è stata reclutata negli ultimi mesi, attraverso un processo di selezione. In genere, scelgo sulla base delle competenze e dell’entusiasmo: servono entrambi per far bene nella ricerca.

Consiglierebbe oggi a un giovane di investire il proprio tempo e i propri studi verso la ricerca? Quali sono gli ostacoli maggiori che si trova ad affrontare un ricercatore nel nostro Paese?

Credo che sia importante seguire sempre le nostre passioni, se sono forti abbastanza da guidarci. Questo molto spesso significa anche rischiare, non cercare la soluzione più comoda. La ricerca è passione, è amore per la conoscenza, è temerarietà e umiltà allo stesso tempo. Certamente lo consiglio ai giovani, perché il ricercatore fa della sua passione il suo lavoro, viene pagato, se pure non molto, per divertirsi e sono pochi i lavori di cui si può dire lo stesso. Certo in Italia è dura…

Da questo Governo stanno arrivando aiuti alla ricerca? Quali sono le principali differenze che ha riscontrato in materia con gli altri paesi in cui è stata? Che tipo di apporto dà l’Unione Europea alla ricerca?

Purtroppo non posso dire di aver visto cambiamenti nei confronti della ricerca e anche questo governo non fa quello che dovrebbe. Gli altri paesi europei investono molto di più e alla fine c’è un ritorno in termini di sviluppo tecnologico ed economico del paese. Negli ultimi anni i fondi nazionali sono crollati, lasciando una grande fetta di ricercatori di fatto senza la possibilità di lavorare. L’altro aspetto davvero problematico e caratteristico del nostro paese è la burocrazia che intasa e complica ogni passo, anche nel mondo accademico.

Ricerca nel settore privato, quali differenze rispetto al pubblico? In che forme possono collaborare le due realtà?

Il settore privato è un profit per natura, ma questo non è necessariamente un male. In un ambiente di lavoro in cui non ci si può permettere di sprecare denaro e risorse sicuramente è più facile trovare spazio per la meritocrazia: un ricercatore bravo è quasi sempre un ricercatore capace di attrarre finanziamenti importanti e un ambiente di ricerca privato difficilmente sosterrà a lungo ricerche non produttive. D’altro canto, il settore privato deve avere la lungimiranza di investire nella ricerca di base, perché, nonostante essa non dia risultati in tempi rapidi, è l’unica forma di ricerca capace di generare progresso.

Sara Sbaffi

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