Pandemia, vaccini e, soprattutto, l’argomento trasversale che attraversa tutto il dibattito socio-politico negli ultimi mesi. Quello del Recovery Plan naturalmente. Il governo appena insediato, guidato dall’ex governatore della Bce Mario Draghi trova sul tavolo di Palazzo Chigi una pila di dossier alti così, lascito del Conte II naturalmente, ma anche l’eredità portata in dote da una situazione generale che, per l’Italia, parla ancora di un’emergenza piena. E non solo dal punto di vista sanitario ma su tutto il fronte sociale.
Il tutto tenendo conto di due dati: quello dell’Rt, monitorato costantemente e che regola di fatto l’adozione o meno di determinate misure restrittive, e anche quello della stessa Banca centrale europea, che ha indicato più volte che dalla crisi economica si uscirà difficilmente e in modo lento. Probabile che, nel suo discorso alle Camere per la fiducia, Draghi vada a ribadire le priorità che aveva già tracciato nei mesi scorsi, invitando l’Italia a riconsiderare determinati aspetti della vita pubblica. Innanzitutto i giovani, ma anche l’ambiente (in ottemperanza ai dettami europei) e coesione sociale.
Nella fase precedente al giuramento, il premier aveva indicato cinque emergenze, ponendo accanto a quella sanitaria ed economica anche quella sociale, educativa e culturale. Del resto, da più parti è arrivata l’istanza relativa all’istruzione. Per la quale subentra la necessità non solo di una calendarizzazione adeguata ma anche di una pianificazione per la categoria degli insegnanti. C’è da sistemare anche la questione Recovery: 32 miliardi di fondi europei che andranno a puntellare dove se ne riscontrerà maggior bisogno. Del resto questo si chiede.
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