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Razzismo in Usa: guardia di un motel di Tulsa uccide un afroamericano

L’omicidio di un altro afroamericano da parte di una guardia privata di un motel a Tulsa – seconda città più grande dello Stato dell’Oklahoma – dove oggi Donald Trump terrà il suo primo comizio post pandemia, riaccende il dibattito sul razzismo e sull’abuso della forza. La vittima è il 36enne Carlos Carson: si era andato a lamentare della sua auto vandalizzata col gestore del motel e poi con la guardia (bianca) Christopher Straigh. Ma quest’ultimo prima ha usato contro di lui lo spray urticante e poi, quando Carson ha reagito, gli ha sparato alla testa.

L’episodio – scrive Ansa – risale al 6 giugno ma solo ora ne sono emerse le esatte circostanze, come rivela il Washington Post, che ha esaminato le immagini della video sorveglianza. Quando Carson, padre di tre figli, è uscito dal motel con una tazza di caffè in mano, Straigh ha causato quello che la polizia ha poi definito un attacco ingiustificato. Ora è accusato di omicidio premeditato. L’uomo, 53 anni anni, è un ex sergente e un ex agente penitenziario del carcere della contea di Tulsa, dove ha subito varie accuse di cattiva condotta, anche per discriminazione razziale. Dopo quattro indagini interne fu degradato e mandato in pensione nel 2018, diventando poi una guardia di sicurezza. Era stato successivamente licenziato dalla compagnia che lo aveva assunto e indagato dalla polizia di Tulsa mentre lavorava per un’altra società, con l’accusa di aver usato spray urticante in un attacco gratuito contro una donna afroamericana, solo poche settimane prima dell’uccisione di Carson. Uno dei problemi evidenziati dalla tragedia è che il settore della sicurezza privata gode di un potere simile a quello delle forze dell’ordine ma con minore controllo. In alcuni Stati come l’Oklahoma, le guardie armate non devono segnalare l’uso della forza a meno che non implichi l’uso di armi, il loro passato nelle forze dell’ordine non è passato al setaccio e possono conservare il lavoro anche dopo accuse per crimini gravi.

Coronavirus: 705 morti in 24 ore negli Stati Uniti

Gli Stati Uniti hanno registrato altre 705 morti per coronavirus in 24 ore, secondo i dati della Johns Hopkins University, che si riferisce alle 20:30 locali di venerdì (1:30 di sabato in Italia). È il nono giorno consecutivo che il bilancio giornaliero scende al di sotto i mille decessi, anche se gli Stati Uniti rimangono il paese più colpito dalla pandemia con un totale di oltre 119.000 morti per coronavirus e 2,2 milioni di contagi accertati sul territorio. Il Paese ha subito un rimbalzo del coronavirus in circa 20 dei suoi Stati. L’epidemia si è spostata da New York e dal nord-est del Paese a una vasta fascia che attraversa il sud e l’ovest. Lo Stato della Florida ha registrato un nuovo record di casi di coronavirus venerdì con quasi 3.822 persone infette in 24 ore, una cifra minimizzata dal suo governatore, che assicura che la maggior parte sono giovani asintomatici.

Sorveglianza aerea

I timori di una ripresa dei contagi sono anche legati alle manifestazioni antirazziste che hanno scosso il Paese per settimane e alla ripresa dei comizi elettorali di Donald Trump, uno dei quali è in programma per oggi a Tulsa, in Oklahoma. Per controllare le proteste seguite alla morte di George Floyd, il dipartimento della homeland securiy ha dispiegato elicotteri, aerei e droni su 15 città, per un totale di almeno 270 ore di sorveglianza, più di quanto finora reso noto. Lo scrive il New York Times citando dati del Customs and Border Protection, l’agenzia federale che controlla le frontiere. La rivelazione arriva dopo che il drone sui dimostranti a Minneapolis ha indotto il Congresso ad aprire un’indagine e alimentato le accuse che l’agenzia federale ha violato i diritti alla privacy dei manifestanti. Ma i dirigenti della Customs and Border Protection rivendicano la correttezza del loro operato e negano di aver violato tali diritti o di aver voluto intimidire i dimostranti.

Milena Castigli

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