Modugno, l'artista che in musica raccontò la vita

Se si pensa per un momento ai due passaggi chiave della canzone cardine della carriera di Domenico Modugno forse la risposta al perché di un successo così incredibile si potrebbe intuire attraverso una lettura estremamente semplice: volare è il sogno dell'uomo, la parola atavica che rende un gesto concreto il senso stesso della libertà; il blu dipinto di blu è quello che accomuna ognuno di noi, perché ovunque si possa andare su questa terra, sarebbe possibile vederlo, più o meno allo stesso modo. Un concetto estremamente semplice, come la canzone che proiettò il cantautore pugliese nell'olimpo dei grandissimi, probabilmente mettendo per la prima volta sotto la luce della ribalta, quella vera, il genio di chi riusciva a raccontare la vita con nient'altro che una chitarra e un'impressionante carica di energia.

La canzone

Estro e talento, attaccamento alla propria terra e al proprio dialetto (anche se non solo il suo) ma anche la capacità di cogliere le sfumature di un'Italia che andava dal dopoguerra alla modernità: un concentrato di vita che si aprì, come le sue braccia, sul palco del Salone delle feste del Casinò di Sanremo nel 1958, quando assieme a Johnny Dorelli portò agli italiani la canzone che aveva concepito con l'amico Franco Migliacci. Come sia nata non è tuttora chiaro, viste le versioni a tratti discordanti che i due artisti hanno fornito: fatto sta che Nel blu dipinto di blu volò letteralmente al di fuori dei confini nazionali, per andare a prendersi l'immortalità oltre l'Oceano. E a Modugno, che Sanremo lo avrebbe vinto altre tre volte, venne riconosciuto definitivamente il rango di simbolo della musica leggera italiana, lui che aveva già regalato capolavori come Vecchio frac: un meraviglioso connubio di poesia e musica, di una carica emotiva così intensa da far bastare una semplice percussione sulle corde della chitarra per ricreare l'atmosfera notturna di una città che assisteva, in un progressivo e sempre più angosciato silenzio, alla tragedia di un suicidio. Era il 1954, Modugno viveva a Roma e cantava in dialetto: Vecchio frac no, scelse di cantarla in italiano. Forse per la vicenda che trattava o forse perché frutto di una riflessione che si trasformava, quasi senza accorgersene, in canzone.

A venticinque anni dalla sua scomparsa Modugno continua a parlare attraverso le sue canzoni. Sì, scontato, ma mai vero come nel suo caso. Perché nelle sue canzoni c'è davvero tutto dell'animo umano, dalla malinconia per una terra abbandonata alla vitalità dell'uomo che cerca la sua strada attraverso la sua vocazione artistica, per finire all'amore, quello più romantico ma anche quello vero.