“Vi racconto Marchionne: l'uomo e il manager”

grandi progetti non si realizzano se alla base non c'è una grande umanità. Sergio ne aveva e lo ha dimostrato”. C'è più di una nota nostalgica nella voce di Raffaele Bonanni mentre ricorda Sergio Marchionne. Saranno le origini comuni (di Chieti il manager scomparso, della provincia limitrofa l'ex segretario generale della Cisl), sarà la totale sintonia sulle scelte necessarie per realizzare il miracolo del salvataggio e del rilancio della Fiat. Fatto sta che persino un sindacalista e un imprenditore possono andare d'accordo. Perché, sostiene Bonanni, il lavoro non è la nemesi del business e viceversa. Anzi, l'uno si sostiene sull'altro, nella più classica delle operazioni “win win”. 

Fin da quando le sue condizioni si erano fatte disperate non ha mancato di elogiare pubblicamente Sergio Marchionne. L’ultima volta ieri su Facebook. Perché vuole sottolineare il lato umano del manager scomparso ieri?
“Perché nessun progetto, opera o proposito può essere portato avanti se di fondo non c'è una grande umanità. Servono spirito di condivisione e capacità di comprendere le vicende personali. Aspetti fondamentali quando si voglia intraprendere un'operazione di salvataggio come quella di Fiat, azienda sull'orlo del baratro prima dell'avvento di Marchionne. Un'impresa gravosa, quasi impossibile, anche perché osteggiata…”

Da chi? 
“Marchionne si trovò di fronte uno schieramento variegato di oppositori, portatori ognuno del proprio interesse. A partire dalle banche, irritate dall'impiego di capitali finanziari nordamericani. C'erano poi i politici ideologizzati, che si sentivano sfidati da un manager che rompeva le consuetudini, il clima di consociativismo, il meccanismo dello scambio e faceva emergere un principio molto semplice: se vuoi inserire un'azienda in un contesto di mercato internazionale globale devi adeguarti ad esso. C'erano i sindacati antagonisti da cui pretendeva il rispetto di una regola basilare: la garanzia della tregua sindacale nel momento in cui veniva raggiunto un accordo. Troppo, evidentemente, per realtà che rappresentano un'idea vecchia di sindacato, per la quale il datore di lavoro è un nemico da combattere. C'erano, infine, imprenditori invidiosi per il successo di un modello aziendale diverso da quello che propugnavano, i cui limiti vennero messi a nudo proprio dal metodo Marchionne”. 

Quando prese in mano le redini della Fiat lei era segretario generale della Cisl. Che ricordi ha del vostro primo incontro in questa veste?
“C'intendemmo subito. Siamo conterranei, parlavamo lo stesso dialetto, ed eravamo d'accordo su un punto: le relazioni industriali devono servire a far progredire l'azienda, unico modo per far crescere i salari e migliorare le condizioni dei lavoratori. Fui poi stimolato, nel relazionarmi con lui, dall'atteggiamento incomprensibile dei sindacati di sinistra, che gli dichiaravano guerra per partito preso. Devo, tuttavia, riconoscere loro una certa coerenza: quello che pensavano allora lo sostengono anche oggi, dopo la sua morte. Mi hanno, invece, dato fastidio gli elogi di circostanza di quanti in passato hanno partecipato alla denigrazione del progetto e del personaggio Marchionne. La solita Italietta…”

Vi siete mai scontrati su qualcosa?
“Mi sono trovato in disaccordo con lui quando si è fatto irretire dagli ambienti antagonisti del sindacato. Conoscendoli sapevo benissimo che non avrebbero mai cambiato opinione. Lui, invece, in cuor suo sperava che fosse possibile venirsi incontro. Gli dicevo: 'E' inutile che ti confronti con loro verbalmente, gli fai solo un favore, lasciali perdere e andiamo avanti per la nostra strada'. Questa diversità di vedute ci ha provocato qualche dissapore”. 

Risollevare un’azienda comporta scelte difficili, non sempre condivise. Il Marchionne uomo e manager come affrontava le decisioni relative alla riduzione del personale e alle delocalizzazioni?
“Aveva in testa un piano chiaro: voleva salvare l'azienda, internazionalizzarla, cambiare le produzioni e dedicarsi di più alle auto di lusso, di cui la Fiat era totalmente sguarnita. E lo ha fatto: ha usato i brand gloriosi delle vetture italiane storiche rimettendoli in circolazione. Scelte che oggi fanno della Fca una protagonista del settore, capace di conquistare ampie percentuali di mercato”. 

Prima ha ricordato le vostre origini comuni. La lunga esperienza all'estero aveva annacquato l'identità abruzzese di Marchionne?
“No, anzi, l'aveva rafforzata. Gli abruzzesi, da buoni montanari, hanno una fortissima identità e testardaggine. Caratteristiche che, per molti versi, si conservano molto più all'estero che in Italia. Lui era così. Era anche schivo e burbero, altri marchi di fabbrica della nostra regione, e legato alle tradizioni. Voglio, poi, aggiungere una cosa…”

Dica…
“Marchionne amava l'Italia e aveva molto a cuore le sorti del suo Paese. Per questo si scandalizzava davanti all'ipocrisia e alla nullafacenza della sua classe dirigente. Non era cinico. Non diceva: 'Mi limito a fare il mio lavoro e basta'. Nella sua attività ci metteva tutto il suo pathos”.  

Mons. Santoro, responsabile per il settore lavoro della Cei, ha sottolineato le “grandi capacità imprenditoriali” del manager scomparso ma ha anche detto che resta aperto l’interrogativo sulle “ricadute sociali dei suoi interventi” e in particolare sui “sacrifici richiesti agli operai di diverse fabbriche”. Cosa risponde?
“Che ho grande rispetto per mons. Santoro ma non sono d'accordo. I salari sono aumentati, il lavoro è stato mantenuto. Addirittura in Val di Sangro, a Melfi e a Torino sono cresciuti gli occupati. I sacrifici degli operai della Fiat sono gli stessi di quelli di qualunque azienda che la mattina si alzano e vanno a lavorare. Anzi, forse, grazie a questo progetto oggi ne fanno meno degli altri”. 

Marchionne da molti è considerato lo Steve Jobs italiano. L’eredità che lascia in Fca è solida o c’è il rischio di una fase critica, come avvenuto in Apple dopo la scomparsa del suo fondatore? 
“Non possiamo saperlo. Quando ci sono cambi al vertice c'è sempre una componente d'incertezza. Tutto dipenderà dalla bravura di chi ha sostituito Marchionne e dal successo dei prodotti Fca immessi sul mercato”.