Processo Mose: spesi milioni per cerniere corrose, ma il Consorzio smentisce

Si tinge di giallo il processo sul Mose, (MOdulo Sperimentale Elettromeccanico) opera tuttora in fase di realizzazione finalizzata alla difesa di Venezia e della sua laguna dalle acque alte attraverso la costruzione di schiere di paratoie mobili a scomparsa poste nelle bocche di porto lagunari.

Il 4 giugno 2014, nell’ambito di un’inchiesta anticorruzione da parte della magistratura italiana, sono scattati 35 arresti e 100 indagati eccellenti tra politici di primo piano e funzionari pubblici, per reati contestati quali creazione di fondi neri, tangenti e false fatturazioni che hanno visto coinvolti parte degli organi dirigenziali del Consorzio Venezia Nuova e delle sue imprese. In seguito, lo Stato è intervenuto al fine di assicurare il proseguimento dei lavori e la conclusione dell’opera: a dicembre 2014 l’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) ha proposto la straordinaria gestione del Consorzio con la nomina di tre Amministratori Straordinari.

La vicenda, già complessa di per sé, è ulteriormente peggiorata a causa del rischio di corrosione – aggravato dall’uso di materiali non idonei – denunciato da una allarmante relazione tecnica depositata al Provveditorato delle opere pubbliche del Veneto. L’allarme del prof. Gian Mario Paolucci era stato riportato in una intervista de L’Espresso.

Voci però smentite dal Provveditore e dai commissari del Consorzio Venezia Nuova: i materiali certificati, le saldature, i cassettoni hanno superato l’esame di prova dei test. A confermarlo, c’è la relazione del Provveditore alle Opere pubbliche Roberto Linetti, che sostenuto dai Commissari del Consorzio Venezia Nuova, ha emanato un comunicato stampa per dire che il fatto non sussiste. Non è vero – si legge nella deposizione – che esistono rischi a causa della mancanza di protezione data dagli elementi posizionati sott’acqua delle tre bocche di porto, né che le cerniere siano corrose né che le saldature siano instabili.

L’ennesimo interrogativo che pesa sul Modulo sperimentale meccanico, che avrebbe dovuto salvare Venezia dall’alta marea, ma che per ora sta portando davanti al giudice decine di persone. L’ultimo capitolo ha visto la prima udienza dedicata alle deposizioni degli imputati davanti alla Procura di Venezia. Si tratta della dirigente del Mav Maria Giovanna Piva, dell’architetto Danilo Turato e dell’avvocato romano Corrado Crialese. Tutti accusati a vario titolo di essere parte del meccanismo corruttivo del Mose, fatto di tangenti e favori, compreso l’acquisto di ville al mare. I tre sono sfilati davanti al collegio presieduto dal giudice Stefano Manduzio per spiegare la loro verità. Loro, di quel giro di soldi, non ne sanno niente.