Ponte Morandi, i numeri della tragedia

Idue lembi della ferita di Genova cominciano, in parte, a rimarginarsi dopo 365 giorni. Ognuno di questi giorni vissuto dai genovesi come una pacifica battaglia nella guerra contro la tragedia per tornare alla normalità. Il 14 agosto 2019 è il primo anniversario del crollo del Viadotto Polcevera, meglio noto nella cultura ligure e nelle cronache di quest’ultimo anno come Ponte Morandi, dove hanno perso la vita 43 persone e sono stati centinaia gli sfollati. In un anno la città ha reagito senza lasciarsi trascinare ancora più a fondo dalle difficili indagini su chi sia responsabile del disastro e dalla polemica politica, ma con solidarietà e determinazione ha rinsaldato i nodi di una rete e sopportato i disagi, sono arrivati i primi indennizzi alle persone e alle aziende, i due monconi del ponte sono stati demoliti e si è pronti a ricostruire

Le vittime e gli sfollati

Sono le 11:36 di martedì 14 agosto, a poche ore da un giorno di festa, quando qualcosa cede internamente nel viadotto che passa sopra il Polcevera collegando i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano. Il Morandi crolla portando con sé chi lo stava attraversando in quel momento, per lavoro o per turismo, e miete 43 vittime. Persone da tutto il mondo, cileni francesi europei dell’Est, e di tutte le età. Il più anziano degli scomparsi, Juan Carlos Pastenes, aveva 64 anni. I più piccoli, Kristal Cecala e Samuele Robbiano, appena 9 e 8 anni, morti insieme ai loro genitori. Il collasso del viadotto genera pure molte vittime collaterali: sono 566 le persone che devono abbandonare le proprie case, oltre 250 nuclei familiari. Molte di loro si trovano nella “zona nera”, il cuore della zona rossa che viene interdetto anche a operatori di soccorso e pompieri, perché hanno il Morandi – anzi, quello che resta – sulle loro teste. Negli anni Sessanta il ponte progettato dall’architetto Morandi è stato costruito dalla società Condotte proprio sopra le loro case e molti degli inquilini non potranno più abitarci a causa delle demolizione che spianerà la strada alla ricostruzione del ponte. Autostrade per l’Italia, la società che aveva in concessione il viadotto Polcevera, si è presto attivata per risarcire i parenti delle vittime e chi deve lasciare per sempre la propria abitazione. A dicembre 2018, la società aveva stanziato 50 milioni di euro per i parenti delle vittime che non si fossero costituite parte civile nel processo, e ne aveva già erogati la metà. Gli indennizzi pubblici sono arrivati per 260 famiglie, 200 proprietari residenti e 60 affittuari sfollati dopo il crollo, che hanno ricevuto circa 2 mila a metro quadro e un indennizzo forfettario di 45mila euro.

I danni economici

Il Ponte Morandi era un’arteria fondamentale del sistema venoso di Genova: lì sopra passavano i container da e per il porto. Con il crollo del viadotto quel flusso si è interrotto e non è bastato deviare il traffico sulle altre strade cittadine per mantenerlo a regime. L’economia genovese ne ha risentito. Come scrive Il Sole 24 Ore, citando il presidente dell’Autorità portuale Francesco Signorini, “il traffico container ha chiuso con una crescita azzerata rispetto 2017. I primi sette mesi del 2018 segnavano un +5%. Il trend negativo è proseguito per l’altra metà del 2018 e da gennaio a giugno ’19, con un – 3% sull’anno precedente”. Il giornale di Confindustria cita anche il Centro studi di Confindustria Genova, la cosiddetta manovra Genova (l’effetto combinato del decreto fiscale, del decreto Genova e legge di bilancio) ha consentito alle aziende di non vedere andare in fumo il loro budget. Anche se dopo tre semestri consecutivi di crescita l’ultimo del 2018 e il primo del 2019 stanno subendo gli effetti negativi del crollo, la riduzione del valore aggiunto nelle attività portuali e logistiche è stata di 56,6 milioni, bel al di sotto dei 178 paventanti in precedenza. Intanto hanno ricevuto i primi risarcimenti, 15mila euro una tantum, dalla Camera di commercio di Genova 39 tra liberi professionisti e aziende che hanno dimostrato di aver avuto un calo di fatturato in seguito al crollo.

Le indagini

“Via la revoca della concessione ad Autostrade. Non possiamo aspettare i tempi della giustizia”. Così il presidente del Consiglio attaccava da Genova, dove era in visita per dichiarare lo stato di emergenza, la società dei Benetton che gestiva quel tratto di A10 di cui sono rimasti solo detriti e dolore quel 16 agosto 2018. Le proclamazioni battagliere si sono susseguite in quest’anno, tra cui la minaccia di revoca della concessione, andando a scemare con il proseguire delle indagini, mentre per uno scherzo del destino proprio alla famiglia Benetton il vicepremier, ministro dell’Economia e titolare del dicastero dello Sviluppo economico Luigi Di Maio avrebbe chiesto di dare una mano a salvare Alitalia. La Procura di Genova sta indagando 73 tra persone fisiche e aziende.  Tra cui figurano amministratori e tecnici di Autostrade e della Benetton Spa che doveva pensare ai lavori di manutenzione del ponte, ma anche i funzionari del ministero dei Trasporti incaricati di controllare e dell’Anas, che gestiva il ponte prima che passasse in mano ai Benetton. I capi d’accusa sono pesanti: omicidio colposo plurimo; disastro colposo; attentato colposo alla sicurezza dei trasporti. Secondo i periti hanno presentato a inizio agosto la perizia sul primo incidente probatorio dei due richiesti dal giudice per le indagini preliminari, si sono dei difetti esecutivi rispetto al progetto originario di Morandi e sono mancati gli interventi di manutenzione. Quella che sarebbe la “prova regina” secondo gli inquirenti, il reperto 132 ovvero l’ancoraggio dei tiranti sulle sommità delle antenne del lato sud del ponte che si pensa si sia staccato per primo, presenta – osservano i periti – “uno stato corrosivo di tipo generalizzato di lungo periodo, dovuto alla presenza di umidità di acqua e contemporanea presenza di elementi aggressivi come solfuri, derivanti dello zolfo, e cloruri”. I trefoli di acciaio dentro i tiranti della pila 9, scrivono i periti, presentavano un grado elevato di corrosione. Autostrade ha replicato che si tratta di un esame superficiale e la tenuta era ampiamente garantita “come hanno dimostrato anche i risultati delle analisi compiute dal laboratorio Empa di Zurigo e dall'Università di Pisa”.

Ricostruzione e demolizione

Il primo cittadino del capoluogo ligure Marco Bucci, nominato commissario straordinario per la ricostruzione, in tutto quest’anno ha assicurato a più riprese che il nuovo ponte sarà pronto l’aprile 2020. Quello che è certo, fino ad ora, è che il nuovo ponte di Genova sarà stata pensato da uno dei suoi figli più illustri: l’architetto Renzo Piano. Il progetto, ispirato alla sua idea del “ponte-nave”, presentato dalla cordata Salini Impregilo-Fincantieri lo scorso 18 dicembre ha battuto la concorrenza agguerrita di altri lavori come quelli firmati dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava. Prima di continuare a sognare c’è però da sporcarsi le mani con il ferro e i calcinacci. La demolizione di quello che resta del ponte Morandi inizia il 9 febbraio, con il taglio e lo smontaggio delle impalcature che si trovano tra le pile 7 e 8 . Finisce l’inverno, scorre la primavera e con l’inizio dell’estate, dopo che gli sfollati hanno recuperato quanto più possibile dalle loro vecchie case, la parola “fine” cala anche sui palazzi che si trovano sotto il moncone orientale del viadotto. Nemmeno un mese dopo, il 28 giugno, tutto il moncone est del Morandi abbattuto. Per la presenza di amianto nella pila 8, scatta una temporanea evacuazione dei residenti della zona, 3170 persone in tutto. Oltre alla pars destruens comincia ad apparire anche la pars construens: alla presenza del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Danilo  Toninelli, il 25 giugno viene gettata la prima colata di cemento per costruzione di una pila del nuovo ponte.