C'è Matteo Renzi, in una successione ideale tra lui e l'ex ministro Martina, ad aprire l'Assemblea nazionale del Partito democratico all'Ergife di Roma. Un sunto di tutto quanto accaduto dalle elezioni del 4 marzo a oggi, motivazioni della sconfitta (anzi, delle sconfitte considerando i risultati delle recenti comunali anche negli storici baluardi toscani) e, non da ultimo, il conferimento del mandato a tempo pieno per Maurizio Martina, finora segretario reggente, il quale avrà ora il compito di ricostruire l'identità del Nazareno e riportare l'attuale partito d'opposizione a riconquistare consensi. Il tempo, tuttavia, non è molto: le prossime primarie pare ci saranno già all'inizio del nuovo anno (prima delle elezioni europee) e la fase congressuale potrebbe essere avviata addirittura già dopo l'estate. Ritmi serrati e tempi stretti, dunque, con un'assemblea che vedrà la riscrittura della Carta dei valori, frutto dell'intesa raggiunta ieri sera a Largo del Nazareno.
E, come detto, è Renzi ad aprire i lavori partendo dalla debalce del 4 marzo: “Mi assumerò tutte le responsabilità. Ma non sono l'unico responsabile. E' necessaria un'analisi di quello che è successo, ma è superficiale il giudizio di chi dice che le abbiamo perse tutte”. Per l'ex premier, però, la questione al momento non riguarda tanto la lettura del passato. O meglio, riguarda anche questa se però effettuata in ottica futura: “Non serve tornare all'Unione o ai Democratici di Sinistra: la nostalgia non è la risposta alla sconfitta”. Di certo, però, la soluzione non è e non era un accordo coi 5Stelle: “Ero contario e vi dico perché io non l'ho voluto: penso che il M5S sia la nuova destra, una corrente della Lega… Hanno trasformato lo scontro in Italia in una zuffa personale, hanno inquinato le falde della democrazia”.
Ma non solo attacchi, anche rivendicazioni: “Noi l'egemonia l'abbiamo avuta per tre o quattro anni. L'abbiamo persa e l'atto delle dimissioni ha questo significato”. Ossia, il riconoscimento della sconfitta elettorale, una parte del discorso che ha ricevuto anche qualche applauso, a sottolineare che, su questo punto, si è in buona parte d'accordo. Poi però Renzi precisa: “Abbassiamo tutti i toni delle tifoserie. So che non sono l'unico responsabile ma in politica si fa così: paga uno per tutti”. Intanto l'assemblea si è esprime in modo pressoché unanime su Martina (appena 7 i contrari e 13 gli astenuti). L'ex ministro è confermato segretario del Partito democratico, dopo un discorso incentrato perlopiù sul “lavoro nuovo” da svolgere da qui all'immediato: “Dobbiamo tutti essere consapevoli – ha detto – che ci tocca scrivere questa pagina nuova ben oltre le nostre divisioni. Abbiamo le energie per costruire questa ripartenza, questo riscatto. Noi siamo fondamentali per costruire l'alternativa ma non basteremo a noi stessi. Non si tratta di guardare al passato e neppure di fare discussioni tra gruppi dirigenti, ma di dare una speranza a tante persone disilluse che guardano ancora a noi”. e il passaggio di consegne fra lui e Renzi è stato reso chiaro anche da un altro dato: le critiche qua e là rivolte all'ex segretario da alcuni dei dem di lungo corso, primo fra tutti Zingaretti: “Matteo non ascolta mai, è un limite enorme”.
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