Italiani sempre più ansiosi e dipendenti da smartphone, ma comunque soli. Lo rileva l'ultimo Rapporto sulla situazione sociale del Paese fatto dal Censis che evidenzia come gli italiani soffrano di incertezza sul futuro a causa di situazioni lavorative non stabili. Il lavoro è la preoccupazione numero uno degli italiani. Viene prima di sicurezza e immigrazione. Ci sono delle zone del nostro Paese che rimangono attrattive e territori dinamici – si legge sul rapporto- ma sicuramente da questi è escluso il Mezzogiorno. Per questo la questione meridionale deve tornare nell'agenda con approccio nuovo”.
Un nuovo tipo di dipendenza degli italiani è quella dello smartphone. La percentuale degli utilizzatori di smartphone in Italia è passata da un timido 15% nel 2009 all'attuale 73,8%. Sono stati i giovani under 30 i pionieri del consumo, passati da un'utenza pari al 26,5% nel 2009 all'86,3% dell'ultimo anno. A partire dal 2016 si è registrata un'impennata anche tra i giovani adulti (30-44 anni), fino ad attestarsi oggi al 90,3% Il 53esimo Rapporto dimostra come la diffusione su larga scala dei telefonini 'intelligenti' nell'arco di dieci anni abbia finito per plasmare le nostre abitudini quotidiane. Il 25,8% di chi possiede uno smartphone, infatti, non esce di casa senza il caricabatteria al seguito e oltre la metà (il 50,9%) controlla il telefono come primo gesto al mattino o come ultimo prima di andare a dormire la sera. Cambio di passo nel rapporto tra device personali e apparecchi elettronici condivisi: nel 2018 il numero dei cellulari ha superato quello delle tv: oggi nelle case degli italiani ci sono 43,6 milioni di smartphone contro 42,3 milioni di televisori.
Secondo quanto emerge dal Rapporto Censis, le persone per leggere le notizie scelgono prima i telegiornali (55,1%), poi Facebook (46%) come seconda fonte, e apprezzano i siti web di informazione (29,4%). Gli italiani sono interessati principalmente alla politica, che costituisce “il principale oggetto dell'attenzione”, ma dicono 'no' ai politici in televisione: un paradosso messo in luce dal Rapporto secondo cui le “cronache della politica” coinvolgono “il 42,4% della popolazione” tanto che “le vite di governi e partiti rappresentano, in assoluto, il genere di notizie più ricercato”. Ciononostante, rileva l'istituto di ricerca, “il 90,3% dei telespettatori rinuncerebbe di buon grado alla vista di un politico in tv”, preferendo attori, scienziati e cantanti. “Tante, troppe riforme strutturali – rileva il Censis – sono state annunciate, ma mai concretamente avviate: nella scuola, nella giustizia, nella sanità, nella fiscalità, nel quadro istituzionale. Lo scenario nel quale ci muoviamo è affollato da non decisioni. Non per aver scelto, ma per non averlo fatto, la politica ha fallito e ha smarrito se stessa”, osserva ancora il Censis.
Una politica sempre più attraversata da “pulsioni antidemocratiche. Abbiamo vissuto uno stravolgimento sociale, un momento di incertezza. E l'incertezza genera ansia, abbiamo misurato che ci sono delle incertezze antidemocratiche. Abbiamo visto che il 48% degli italiani si affiderebbe anche all'uomo forte al comando che possa non preoccuparsi delle elezioni e del Parlamento pur di risolvere i problemi” ha detto Massimiliano Valerii, direttore generale Censis, alla presentazione del Rapporto Censis, ripreso da Ansa. Negli ultimi tempi sembra essere montata una pericolosa deriva verso l'odio, l'intolleranza e il razzismo nei confronti delle minoranze. Il 69,8% degli italiani è convinto che nell'ultimo anno siano aumentati gli episodi di intolleranza e razzismo verso gli immigrati. Un dato netto, confermato trasversalmente, con valori più elevati al Centro Italia (75,7%) e nel Sud (70,2%), tra gli over 65 (71%) e le donne (72,2%). Il 50,9% di chi pensa che ci sia stato un aumento degli episodi di razzismo li attribuisce alle difficoltà economiche e all'insoddisfazione generale della gente. Il 35,6% invece li motiva con l'aumento della paura di essere vittima di reati, il 23,4% ritiene che dipendano dal fatto che ci sono troppi immigrati e il 20,5% pensa che gli italiani siano poco aperti e disponibili verso i migranti.
Gli indicatori demografici ci disegnano un'Italia rimpicciolita, invecchiata, con pochi giovani e pochissime nascite. Dal 2015 – quando è cominciata la flessione demografica – si contano 436.066 cittadini in meno, nonostante l'incremento di 241.066 stranieri residenti. Nel 2018 i nati sono stati 439.747, cioè 18.404 in meno rispetto al 2017. Nel 2018 anche i figli nati da genitori stranieri sono stati 12.261 in meno rispetto a cinque anni fa. La caduta delle nascite si coniuga con l'invecchiamento demografico. E con gli esptri all'estero dei giovani laureati. Cresce il numero dei giovani italiani laureati e diplomati che scelgono di vivere all'estero. Lo afferma il Censis. “Il fenomeno degli espatri – scrive – non è mai stato così ampio come negli ultimi anni. A partire dal 2015, in particolare, ogni anno più di 100mila italiani si trasferiscono all'estero e in gran parte si tratta di giovani diplomati e soprattutto laureati. Secondo gli ultimi dati Istat disponibili, nel 2017 il 31,1% degli emigrati italiani con almeno 25 anni è in possesso di un titolo di studio di livello universitario; il 53,7% ha un'età compresa tra i 18 e i 39 anni (età media di 33 anni per gli uomini e di 30 per le donne). Nel complesso tra il 2013 e il 2017 è aumentato significativamente non solo il numero di laureati trasferiti all'estero (+41,8%), ma anche quello dei diplomati (+32,9%). Tra il 2008 e il 2017 i saldi con l'estero di giovani 20-34enni con titoli di studio medio-alti sono negativi in tutte le regioni italiane. Quelle con il numero più elevato di giovani qualificati trasferiti all'estero sono Lombardia (-24.000), Sicilia (-13.000), Veneto (-12.000), Lazio (-11.000) e Campania (-10.000). Insomma, dalla politica si attendono soluzioni tangibili, non altre “non decisioni”.
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