Di Maio: “Avanti col Pd, con la Lega discorso chiuso”

Son la Lega ogni discorso finisce qui“. Luigi Di Maio, dopo l'incontro con Roberto Fico e incassata la disponibilità del Pd a riunirsi attorno a un tavolo, chiude il forno con il centrodestra. “E' chiaro – ha spiegato – che un governo del centrodestra non è più un'ipotesi percorribile, gli unici che non l'hanno capito forse sono proprio loro, dopo il fallimento del mandato di Casellati quell'ipotesi tramonta del tutto”. 

Affondo

Di Maio ha poi ricordato i “circa 50 giorni in cui abbiamo provato in tutti modi e tutte le forme a firmare un contratto di governo per il cambiamento del Paese con Salvini e la Lega ma loro hanno deciso di condannarsi all'irrilevanza per rispetto dei loro alleati e del loro alleato invece di andare al governo nel rispetto degli italiani”. Si apre, dunque, la fase due: quella col Pd. “Siamo disponibili a discutere sui temi con loro, nonostante le differenze e i trascorsi dei dem”. Se questo tentativo dovesse fallire, ha avvertito, “per noi si torna al voto, non sosterremo nessun altro governo, tecnico, di scopo o del presidente”. 

Apertura

Di Maio ha, dunque, confermato “solennemente” (come aveva chiesto in precedenza Maurizio Martina) la chiusura delle trattative con la Lega. Cosa che il Pd considera “un punto di novità che siamo chiamati ad approfondire”. “Con spirito di leale collaborazione – ha aveva aggiunto Martina – nonostante le differenze ci impegneremmo ad approfondire un possibile percorso di lavoro comune. La direzione sarà chiamata a discutere e a deliberare”. Non si tratta, però, di un assegno in bianco. “Sul piano programmatico abbiamo ribadito a Fico che l'asse di riferimento fondamentale sta attorno al programma del Pd nei contenuti e nelle proposte”. In particolare “l'Italia è chiamata a scegliere se contribuire a un stagione europeista o se ripiegare sul sovranismo. Noi siamo per un lavoro deciso perché l'Italia contribuisca, assieme alla Francia e alla Germania, a una nuova agenda europea; il rinnovamento della democrazia, al di là della deriva plebiscitaria; le politiche del lavoro e di contrasto alla povertà e alle diseguaglianze” rispettando “gli equilibri di finanza pubblica”.