Arance macchiate di sangue

Arance macchiate di sangue. In Sicilia, a cavallo delle province di Catania e Siracusa, due persone sono state uccise e una terza ferita gravemente da un guardiano di un agrumeto per il furto delle arance. Forse ladri, Massimo, Agatino e Gregorio, lo erano davvero, forse no, ancora non possiamo saperlo con certezza. Ma, ammettendo di trovarci di fronte a dei volgari ladri di campagna, tra il reato commesso e la condanna eseguita, ci passa un abisso. Se anche erano andati a rubare arance, chi ha rivolto contro di essi il fucile da caccia e ha fatto fuoco ha esercitato un diritto che nessuno gli aveva mai conferito. Farsi giustizia da soli, magari in preda al panico, alla paura, alla rabbia, alla stanchezza, non risolve alcun problema, al contrario, spalanca la porta a una valanga di problemi, alcuni dei quali, come gli omicidi, non potranno mai più trovare una soluzione.

Due esseri umani sono stati ammazzati senza avere avuto il tempo di rendersi conto di quel che stava accadendo. Inutile e dolorosa fine di due vite, dietro le quali s’intravedono due famiglie e tanti amici sui quali si è abbattuto un uragano dalle dimensioni immani. I furti nei campi in questa zona della Sicilia non è cosa da poco conto, ma un problema serio che reca danni alle aziende, all’economia, alla pace tra le persone, alla serenità della zona. Un problema serio che deve essere affrontato con altrettanta serietà da parte delle istituzioni. Bene fanno proprietari a munirsi di guardiani per tutelare i loro fondi e i loro interessi economici; bene fanno a correre dalle forze dell’ordine per denunciare soprusi e malintenzionati. Malintenzionati che sempre ci sono stati e sempre ci saranno, non solo nelle campagne ma a ogni livello della vita sociale e civile. Sarebbe bello – una sorta di paradiso terrestre? – se ognuno vivesse del lavoro delle proprie mani e si accontentasse del poco o del molto che guadagna col sudore della sua fronte. Insegnasse ai figli e alle nuove generazioni i valori alti per cui vale la pena vivere e morire.

Purtroppo così non è, o, almeno, non sempre e non per tutti è stato.  Purtroppo occorre fare i conti con la delinquenza comune e quella organizzata, con le corruzioni, le collusioni, le varie mafie in giro per l’Italia e per il mondo. Certo, quando si viene derubati una, due, tre volte la tentazione di farsi giustizia da soli è forte. Pian piano, come un tarlo, fa in modo da farti credere che sia l’unica cosa da fare nei confronti di uno Stato che non sempre riesce a tutelare i tuoi diritti. Alle tentazioni però occorre resistere, anche quando possiamo accampare qualche ragione. Non sempre ciò che sembra un bene a prima vista, lo è per davvero. Accade sovente, invece, che quella che appariva una soluzione, si rivela essere una trappola. Come è accaduto in Sicilia.

Giuseppe Sallemi, il guardiano, si è accorto che qualcosa non andava, forse ha avuto paura per la sua vita, forse ha temuto di perdere il lavoro, fatto sta che ha fatto l’unica cosa che non avrebbe dovuto fare. Ha imbracciato il fucile da caccia, ha sparato, uno, due, tre volte. Una tragedia. Le arance sugli alberi sono salve, ma più nessuno le degna di uno sguardo; al contrario, credo che le lasceranno marcire sui rami. Il prezzo pagato da tutti, presunti ladri, assassino, parenti degli uni e dell’altro, cittadini e padrone dell’aranceto è enorme. Non è questa la strada da seguire, nemmeno quando ci viene presentata come tale da chi la cavalca per motivi politici o ideologici. Non viviamo nella giungla, ma in un Paese di diritto. Un Paese che non consente a nessuno di farsi artefice della vita e della morte di un’ altra persona anche se si è macchiato di un qualche delitto nei suoi confronti. Al singolo che ha ricevuto un danno compete denunciare. In certi luoghi, è vero, occorre un coraggio non comune per correre in caserma e fare certi nomi e cognomi. Lo Stato deve facilitate e incoraggiare la collaborazione tra cittadini e istituzioni e agire con scaltrezza per fare giustizia in tempi brevi. Lo Stato non deve permettere che il cittadino, esasperato, si trasformi in giustiziere avendo creduto alla menzogna che l’unica cosa da fare è darsi da fare.