Nuovo colpo di coda del ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis: la Grecia pagherà la rata di 312 milioni dovuta al Fmi il 5 giugno, perché per allora sarà raggiunto l’accordo con i creditori. A dirlo è proprio Varoufakis, annunciando la tassa sulle transazioni bancarie e una sanatoria sui depositi occulti all’estero, tassandoli al 15%.
Anche perché ormai è chiaro che per l’Eurozona “sarebbe un grande problema se un paese dovesse uscire” dalla moneta unica, ha detto in un intervento a Dublino il commissario Ue agli affari economici e monetari, Pierre Moscovici, aggiungendo che “nelle ultime tre settimane sono stati più passi in avanti” sulla Grecia “che negli ultimi 3 mesi. Anche il capo del fondo di salvataggio europeo Rsm, Klaus Regling, mette in guardia dalle pagine di Bild dal fallimento della Grecia e dai suoi effetti: “Il tempo stringe, per questo si lavora senza sosta a un accordo. Senza accordo, Atene non può avere altri prestiti e quindi rischia il fallimento, e questo implica grandi rischi”. Conclude poi dicendo che anche un mancato versamento al Fmi avrebbe un impatto su altri creditori.
Nonostante sia rimasto a uno stallo il negoziato fra Grecia e creditori, la prospettiva di una rottura – ipotizzata ieri dopo l’uscita del ministro che minacciava di non ripagare il Fmi – è sfumata. Un portavoce greco fa infatti marcia indietro: Atene farà ogni sforzo per onorare i debiti, esclude di dover congelare i depositi bancari e si aspetta un accordo fra fine maggio e inizio giugno. Lo stesso ministro dell’Economia, Gergios Stathakis, getta acqua sul fuoco: l’intesa con i creditori è “assai probabile” ed è solo “questione di settimane”.
La soluzione dell’impasse però resta lontana e un incidente è sempre dietro l’angolo. L’attenzione si sposta ora su quello che il ministro delle Finanze Varoufakis definisce il vero “punto di disaccordo” con l’Ue, Bce e Fmi: il surplus di bilancio greco, che i creditori vogliono elevato per garantire una improbabile sostenibilità del debito, a costo di imporre un’austerity che Atene rifiuta con forza.
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