Più che un “revival” della guerra fredda era sembrata una riedizione delle antiche guerre dell’oppio tra occidente e oriente. Sicuramente per le aziende di tutto il mondo il conflitto sui dazi tra Washington e Pechino è stata una spada di Damocle i cui nefasti effetti si misurano in miliardi di dollari bruciati dal sistema produttivo globale. Ora arrivano i primi spiragli di pace.
Contrariamente a quanto riportato dagli articoli negativi dei media, Cina e Usa “sono molto vicini alla 'fase uno' dell'accordo sul commercio”, si legge sull'account Twitter del Global Times, il tabloid del Quotidiano del Popolo, la “voce” del Partito comunista cinese, in base a quanto riferito “da esperti vicini al governo”. Pechino “resta impegnata a continuare i colloqui per la 'fase due' e perfino per la 'fase tre' dell'accordo con gli Usa, su basi di parità”.
Per arrivare alla “fase uno” della pace commerciale, un parziale accordo per fermare l’escalation della trade war, gli Stati Uniti sarebbero disposti a ritirare alcuni dazi decisi contro la Cina, riferisce il Sole 24 Ore. Dazi per un valore di 112 miliardi di dollari in vigore dal primo settembre che riguardano una lunga serie di prodotti esportati da Pechino, tra cui figurano abbigliamento, elettrodomestici, e monitor a schermo piatto. La mini pace Usa Cina sarebbe dovuta essere firmata dai due presidenti Donald Trump e Xi Jinping, a margine del vertice di cooperazione economica dei paesi Asia Pacifico, il 15-16 novembre a Santiago del Cile. il summit è stato cancellato dal presidente cileno Sebastian Pinera per ragioni di sicurezza, dopo le proteste di piazza delle ultime settimane, sottolinea il quotidiano della Confindustria. Una piattaforma alternativa per l'incontro tra Trump e Xi per firmare l'accordo poteva essere offerta dal summit dei paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), che si è svolto in Brasile, nella capitale Brasilia il 13 e 14 novembre. L’ipotesi potrebbe essere ora Washington.
Nell’ultimo periodo più volte, sia da parte americana che da parte cinese è stato confermato il raggiungimento di un accordo di principio per interrompere la trade war. L'indiscrezione sull'eliminazione di 112 miliardi di dazi è stata riportata dal Financial Times e arriva da cinque fonti vicine ai negoziati. Gli Stati Uniti, evidenzia il Sole 24 Ore, sperano in questo modo di alzare la posta per ottenere maggiori concessioni da parte cinese sulla tutela della proprietà. Il 15 ottobre Washington aveva già mostrato segnali distensivi, con la decisione di sospendere il rialzo previsto dei dazi dal 25% al 30%, in seguito a una visita della squadra di negoziatori cinesi nella capitale federale. In caso di accordo con la Cina gli Stati Uniti, secondo il giornale diretto da Fabio Tamburini, potrebbero decidere di sospendere il piano di tariffe già annunciato per 156 miliardi di dollari contro smartphone, laptop, elettronica di consumo, giocattoli e scarpe da ginnastica prodotte in Cina che rischiano di penalizzare la stagione degli acquisti natalizi.
Dal 18 ottobre erano entrato in vigore in vigore i dazi Usa sui prodotti europei. Il Federal Register ha pubblicato la black list definitiva dei prodotti Ue colpiti: una scure che si abbatte anche sul made in Italy e il suo record storico negli Stati Uniti, che rappresentano il principale mercato di sbocco fuori dai confini europei, con un balzo del +8,3% nei primi otto mesi del 2019. L’analisi, sulla base dei dati Istat relativi al commercio estero ad agosto, è stata fornita da Coldiretti e rilanciata da Roma Sette-Avvenire.
Sul mercato Usa il made in Italy è cresciuto finora più del doppio rispetto al mercato mondiale dove la crescita è stata pari ad appena il 2,6% nei primi otto mesi. A essere maggiormente interessati dai dazi, segnala l’associazione, sono i prodotti alimentari che fanno registrare in Usa un boom del 13% da gennaio ad agosto 2019, dopo aver messo a segno nel 2018 il record dell’export a 4,2 miliardi. Dal Parmigiano Reggiano al Grana Padano fino al Gorgonzola ma anche salumi, agrumi, succhi e liquori per un valore delle esportazioni di circa mezzo miliardo di euro saranno colpiti da dazi aggiuntivi del 25% che provocheranno il rincaro dei prezzi al consumo. Il timore è quello di una “preoccupante riduzione degli acquisti da parte dei cittadini e ristoratori statunitensi”.
Per il presidente della maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell'agricoltura italiana. Ettore Prandini, è “importante l’apertura del presidente degli Stati Uniti Donald Trump all’Italia, che rischia di essere ingiustamente punita dai dazi Usa per la disputa tra Boeing e Airbus, che è essenzialmente un progetto francotedesco, a cui si sono aggiunti Spagna e Gran Bretagna”.
Apprezzamento, nelle parole di Prandini, per il tentativo del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella che negli Usa ha esortato a “trovare un metodo di confronto collaborativo per evitare uno scambio di provvedimenti ritorsivi tra le due parti. In questo contesto è importante che la proposta della Coldiretti di attivare aiuti compensativi per azzerare l’effetto dei dazi americani su alcuni prodotti agroalimentari sia stata accolta dal governo italiano e portata all’attenzione dell’Unione europea”. Dagli Usa, dazi al 25% anche per i vini francesi, le olive greche, il whiskey scozzese. In tutto la stretta sulle importazioni dal Vecchio continente riguarda beni per un valore di 7,5 miliardi di dollari.
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