E’ composta da sette pagine la memoria scritta che l’ex numero uno dell’Fbi, James Comey – scelto da Barack Obama nel 2013 e licenziato da Donald Trump il 9 maggio scorso – leggerà nel corso della mattinata davanti al Congresso americano. Alle 16 italiane, Comey si presenterà davanti ai 15 membri della commissione di intelligence del Senato che sta indagando sulla possibile interferenza russa nelle elezioni presidenziali americane, caso meglio conosciuto come Russiagate.
Nel documento ricevuto dal Senato, l’ex numero uno dell’Fbi, scrive che in tutto ha avuto nove conversazioni private con Trump in quattro mesi, tre di persona e sei al telefono. “Per garantire accuratezza – spiega Comey – ho iniziato a scrivere su un laptop da dentro una vettura dell’Fbi fuori dalla Trump Tower (luogo del primo incontro, ndr)”. L’ex capo del Bureau dovrà riferire della conversazione che ebbe con il presidente nel corso di una cena avvenuta lo scorso 27 gennaio. In quell’occasione, l’ex tycoon avrebbe chiesto a Comey di aver “bisogno di lealtà, mi aspetto lealtà”, e poi gli avrebbe chiesto di interrompere le indagini sulle possibili interferenze russe nelle presidenziali.
“La mattina del 30 marzo il presidente mi chiamò all’Fbi. Descrisse l’inchiesta sulla Russia come “una nuvola” che stava compromettendo la sua capacità di agire nell’interesse del Paese. Disse che non aveva nulla a che fare con la Russia, non era stato con prostitute in Russia, e aveva sempre presunto di essere registrato quando era in Russia. Mi chiese cosa potevamo fare per ‘alzare la nuvola’”, si legge in un passaggio della deposizione di Comey. “Il presidente cominciò chiedendomi se volevo restare come direttore dell’Fbi”, poi “mi disse: ‘ho bisogno di lealtà, mi aspetto lealtà’. Io risposi da me avrà sempre onestà”. Durante una conversazione telefonica – era l’11 aprile – dopo aver sottolineato che la “nuvola” intralciava il suo cammino alla guida del Paese, Trump chiese a Comey di rimuovere questo ostacolo. L’ex direttore dell’Fbi, in quell’occasione, gli suggerì di parlare con il viceministro della giustizia Boente. Ma, meno di un mese dopo, venne licenziato.
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