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Referendum in Turchia, Trump chiama Erdogan. L’Osce: “2,5 milioni di schede sospette”

Donald Trump ha chiamato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, per congratularsi della vittoria del “Sì” nel referendum sul presidenzialismo e per discutere sulla risposta americana all’uso di armi chimiche da parte di Assad. Lo rende noto la Casa Bianca. Il tycoon ha ringraziato Erdogan per il sostegno all’azione Usa e i due leader hanno “concordato sull’importanza di ritenere responsabile Assad”. I due capi di Stato hanno discusso anche la campagna anti Isis e la necessità di cooperare contro tutti i gruppi che usano il terrorismo per raggiungere i loro fini.

La nota della Casa Bianca sulle congratulazioni di Trump a Erdogan per la vittoria nel referendum fuga i dubbi su quanto scritto dalla stampa governativa di Ankara, che per prima aveva parlato della telefonata del presidente degli Stati Uniti al suo omologo turco, e contraddice quanto detto nella giornata di ieri dal portavoce Sean Spicer. Quest’ultimo aveva infatti detto che la Casa Bianca avrebbe atteso il rapporto degli osservatori internazionali sulle accuse di brogli al referendum in Turchia prima di esprimere un commento. “C’è una commissione internazionale che sta esaminando la questione e diffonderà un rapporto nel giro di 10-12 giorni. Aspetteremo e lasceremo che faccia il suo lavoro”, aveva spiegato Spicer.

Ma sull’esito del voto del 16 aprile continuano a pesare i dubbi dell’Osce. Secondo la deputata austriaca di origini turche Alev Korun, membro dell’organizzazione con sede a Parigi, le schede sospette conteggiate nel referendum sarebbero “circa 2,5 milioni“. Nelle prossime ore il principale partito di opposizione, il kemalista Chp, presenterà un ricorso formale alla Commissione elettorale suprema (Ysk) di Ankara. Per le opposizioni, il numero dei voti contestati oscilla tra 1,5 e 2,5 milioni.

Se la svolta presidenzialista sembra allontanare definitivamente la Turchia da un possibile ingresso nell’Unione europea, non dovrebbero invece esserci contraccolpi sulla permanenza di Ankara all’interno della Nato. “Gli sviluppi in Turchia rendono le cose complicate, ma nessuno dovrebbe pensare che una Turchia al di fuori della Nato sia un partner più semplice col quale rapportarsi rispetto a una Turchia nella Nato”, ha detto la ministra tedesca della Difesa, Ursula von der Leyen alla Bild. “Nella Nato possiamo discutere in modo più intenso della nostra concezione di una società aperta e democratica, anche nell’interesse dei molti turchi che vogliono impedire una spaccatura ancora più profonda del loro Paese e tornare a un dialogo ragionevole all’interno della Turchia, così come sull’Alleanza”, ha continuato l’esponente della Cdu. Ora tocca soprattutto al presidente Erdogan dimostrare di voler restare un partner affidabile all’interno della Nato, che è più di una semplice alleanza militare, ha concluso: “continuano a legarci interessi di sicurezza comuni“.

Edith Driscoll

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