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Parigi o Numea, la Nuova Caledonia sceglie

Europa sì o Europa no. Forse è questa la giusta chiave di lettura per il referendum che, il prossimo 4 novembre, stabilirà il futuro della Nuova Caledonia. Sentimenti antifrancesi o meno, la questione sembra ricordare da vicino più il tema Brexit che il semplice indipendentismo della regione oceanica dalla madrepatria Francia. E non è solo questione della dispute storica fra gli autoctoni kanaki e i discendenti europei caldoches: staccarsi da chi, ormai dal 1865, colonizzò l'arcipelago caldeonico trasformandolo, come si usava all'epoca, in una colonia penale oltreoceano, significherebbe dare un importante colpo di forbice a un filo europeo che, a distanza di 16 mila chilometri, lega Parigi a Numea solamente da un punto di vista politico che sembra non essere così ingombrante. A quanto pare, infatti, il filo non è così facile da recidere: i più recenti sondaggi, infatti, danno gli indipendentisti piuttosto indietro rispetto a una schiera di filofrancesi che si attesterebbe addirittura al 60%.

Il ruolo di “King Nick”

Questo anche perché, a conti fatti, la comunità dei kanaki autoctoni è decisamente meno corposa rispetto a quella dei caldoches, e porre fine a un'età storica di interconnessione con la Francia, nonostante Pil e welfare parlino di un territorio tutt'altro che in difficoltà, rappresenterebbe comunque un incerto salto nel buio, se non altro perché gli Accordi di Matignon del 1988 (un'intesa con cui il governo francese concesse il proprio accompagnamento alla decolonizzazione) hanno concesso alla Nuova Caledonia un'autonomia de facto, lasciando alla connessione con Parigi un ruolo più che altro istituzionale. Nell'arcipelago, d'altronde, l'estrazione di quello che è un quarto (il 25%) del nichel (la cui importanza gli ha conferito il soprannome di King Nick) mondiale ha consentito uno sviluppo tale da rendre fattibile un'indipendenza ma anche alimentato diseguaglianze sociali fra l'una e l'altra parte di popolazione che potrebbe costituire un fattore deterrente a una piena autonomia dal governo centrale di Parigi.

Indipendentisti indietro

Lo strumento del referendum, dunque, sembra favorire lo status di territorio francese, a una trentina d'anni da Matignon e a venti (1998) dall'Intesa di Numea che avevano istituito il processo di decolonizzazione e favorito l'incremento dell'autonomia economica senza però riuscire a sopire le diseguaglianze socio-economiche fra kanaki e caldoches, solo appianate rispetto al periodo pre 1988, quando il clima sociale sfiorava i limiti della guerra civile. La sensazione è che la connessione alla Francia (e quindi all'Europa) possa rappresentare una soluzione di maggior tranquillità rispetto a una totale indipendenza che, in un contesto come l'Oceania, potrebbe riservare più incertezze che speranze.

Mattia Damiani

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