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Orban stravince col 49,5%

E'fatta, Viktor Orban resta (salvo cataclismi) premier dell'Ungheria e con addirittura il 49,5% dei voti. Lo spoglio, in fase di conclusione, sta legittimando quelle che erano state le previsioni dei giorni scorsi (i sondaggi lo davano al 40%) e concretizzato una tornata elettorale che l'intera Europa ha guardato col fiato sospeso. Il leader del Fidesz era il favorito e incassa una preferenza che gli varrà due terzi dei seggi. In serata, l'affluenza alta (oltre il 70%, superato il record del 2002) e le accuse sindacali avevano gettato qualche ombra sulle sue possibilità di vittoria, fino a qualche ora prima date quasi per scontate. Alla fine però nessuno scherzo: Orban vince ancora e potrà proseguire nella sua azione politica, da molti vista come l'emblema del populismo in Europa. Consensi discreti (20%) per i rivali di Jobbik, guidati dal candidato Gabor Vona, leader di un partito profondamente rinnovato dai vecchi mantra dell'ultradestra a una politica più moderata. I socialisti si attestano al 12% complessivo. Poco probabile che i voti all'estero possano intaccare sullo scenario in via di definizione.

Presupposti

E' stato il giorno del voto in Ungheria e, a quanto pare, il giorno di Viktor Orban. Il leader magiaro, come già ampiamente emerso dai sondaggi dei giorni scorsi, appariva fortemente lanciato verso il terzo mandato consecutivo (il quarto complessivo) che, in caso, avrebbe rafforzato ulteriormente il suo ruolo di emblema dei populismi europei, del quale è assurto a modello continentale. I principali siti di previsione politica parlavano del 40% di gradimento, principalmente fondato sul mantra politico del candidato e premier uscente: “Dieci milioni di migranti musulmani sono pronti a invadere l’Europa dall’Africa e dal Medio Oriente”. Ergo, il voto per Orban non solo arresterebbe l'ondata ma, d'altro canto, impedirebbe a figure come quella del filantropo George Soros di consentire l'accesso entro i confini ungheresi dei migranti, come accaduto nel 2015.

Il messaggio di Orban

Una linea semplice e capace, a quanto sembra, di far presa sulla popolazione magiara, già data come fortemente propensa a riconfermare Orban al timone del Paese. Ma la linea dell'attuale Primo ministro va oltre: Soros e le sue ong, infatti, non starebbero solo pianificando l'accesso dei profughi in Ungheria ma una sorta di invasione europea, che trasformerebbe il continente in un melting-pot culturale, spostando l'attenzione anche sulla religione e sulla probabile riduzione della cristianità a una minoranza nell'Europa occidentale. Un messaggio che sembra esser filtrato a sufficienza e che, sostanzialmente, si basa su una distopia vista da più parti come qualcosa di fattibile, pur nella sua esagerazione. Ma non solo la sua campagna pareva aver dato a Orban la quasi certezza di vittoria: a giocare un ruolo fondamentale è stata anche l'opposizione, poco coesa e mirante a far bene nei collegi uninominali a maggioranza semplice, e anche un periodo di buona crescita economica.

Gli sfidanti

A giocarsela con il favorito del Fidesz erano i verdi-socialisti con il loro candidato Gergely Karacsony (sindaco del 14esimo distretto di Budapest) e soprattutto i nazionalisti Jobbik di Gabor Vona, che hanno posto le loro ambizioni politiche nelle mani di 8,3 milioni di ungheresi. Il Partito nazionalista si presentava con qualche aspirazione in più, forte di un'importante salita alle elezioni del 2014: un 20,5% con tanto di rielezione all'Assemblea nazionale per Vona. Il leader Jobbik si è recato alle urne attorno alle ore 9, vaticinando che le recenti elezioni avrebbero determinato il futuro ungherese per lungo tempo, ben più dei quattro anni di legislatura. I seggi sono stati chiusi alle 19.

Mattia Damiani

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