Mai come oggi la Brexit è a rischio, nemmeno ai tempi del referendum, quando era solo una delle due possibilità. La linea Johnson, nuovo premier quasi per acclamazione, non solo sembra non aver pagato a livello politico ma nemmeno sul piano interno tanto che, nella votazione che ha decretato l'ok definitivo a una mozione che mira a togliere la trattativa per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea fra le incombenze del governo, più di qualche Tory (anche fra coloro di maggior rilievo) ha deciso di votare a favore, rientrando nel gruppone dei 328 sì (contro 301 no). Un effetto a cascata quello scaturito dall'addio di Philip Lee, passato ai LibDem come palese atto di avversione nei confronti del nuovo leader Tory che, ora, finisce letteralmente nell'occhio del ciclone: senza maggioranza in Parlamento, ora il premier si trova a dover affrontare anche la legge anti-no deal proposta dai Comuni (327 a 299) che, di fatto, lega le mani a Johnson anche in virtù della bocciatura della sua mozione per le elezioni anticipate.
Da uomo-Brexit a uomo che la Brexit potrebbe vedersela sfuggire di mano, la parabola di Boris Johnson è quasi unica nel suo genere: in poche settimane, l'ex falco ha allargato la fronda all'interno dei Tory, scontentando la parte moderata e assottigliando notevolmente il sostegno di quella oltranzista, ormai ridotta ai fedelissimi. Un atteggiamento che, soprattutto dopo la chiusura della Camera dei Comuni fino a ottobre, ha compattato anche l'opposizione, spingendo il Parlamento a fare quadrato contro il no deal, considerato un disastro per l'economia inglese. Da qui la mossa della mozione (che ora dovrà passare anche alla Camera dei Lord), volta a togliere dalle mani dell'esecutivo l'intera partita Brexit e con l'intento di farla scivolare ancora un po', così da scongiurare un'uscita a tutti i costi e con conseguenze qualsiasi, incluse quelle di svincolo senza backstop né intesa sul mercato.
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