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ECCO IL VOLTO DELL’UOMO DI ALTAMURA, VISSUTO 150MILA ANNI FA

Un corpo tarchiato, statura media – circa 1 metro e 65 cm – bacino largo, fronte sporgente, il cranio allungato posteriormente, il naso molto grande, forse per un adattamento alla penultima glaciazione. Era così l’Uomo agli esordi dell’umanità. Era così è l’Uomo di Altamura, vissuto nel Pleistocene Medio (tra i 180mila e i 130mila anni fa), il cui scheletro fossile è stato ritrovato nella ridente località in provincia di Bari, incastrato tra le rocce, nella grotta di Lamalunga, nel 1993, dagli speleologi da Lorenzo Di Liso, Marco Milillo e Walter Scaramuzzi.

L’Uomo di Altamura è forse il più antico Neanderthal del mondo scoperto finora. Un unico frammento dello scheletro, estratto da una scapola nel 2009, ha consentito di raccogliere dati sul Dna, per collocarlo cronologicamente. Oggi ha un volto e un corpo completo, ricostruito a grandezza naturale dai paleo-artisti olandesi Adrie e Alfons Kennis, tra i più qualificati al mondo in ricostruzioni paleoantropologiche. Capelli lunghi, baffi e barba incolta, e un gran sorriso: si è presentato così ai giornalisti alla conferenza stampa organizzata dal Comune di Altamura.

Il progetto della ricostruzione, costato circa 90mila euro al Comune di Altamura in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Puglia, è un’”anteprima” – ha detto il sindaco, Giacinto Forte – della Rete museale Uomo di Altamura, di prossima inaugurazione.”La ricostruzione è totalmente ispirata alle informazioni raccolte finora dagli scienziati. Siamo solo all’inizio di un percorso”, ha detto il paleoantropologo Giorgio Manzi, dell’Università “La Sapienza” di Roma, che coordina le ricerche insieme a David Caramelli, dell’Università di Firenze.

È una ricostruzione straordinaria, molto suggestiva. Ma non significa che questo Neanderthal lo abbiamo capito totalmente. Lo scheletro, questo reperto di straordinaria importanza, deve ancora dirci tante cose”, ha commentato Manzi. “Gli artisti lo hanno rappresentato così, con una espressione che rivela quasi un ghigno, quasi voglia dirci ‘sto aspettando che mi venite a liberare dalla mia prigione di calcare'”.

Miriam Martinez

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