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Prato. Al Pecci, Protext manifesto sul tessuto

Siamo a Prato, in quello che era, e in qualche modo lo è ancora, il distretto del tessile più importante d’Italia e qui, al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci è possibile visitare Protext. Quando il tessuto si fa manifesto, una mostra che attraverso le opere di nove artisti internazionali racconta il tessuto come prodotto universale, artistico e comunicativo.

Il percorso

Si tratta di una collettiva molto colorata. Il percorso alterna installazioni, sculture, stendardi, arazzi, disegni, ricami. La mostra è stata curata da Camilla Mozzato e Marta Papini che hanno selezionato con cura striscioni, stendardi, collage di t-shirt e poi arazzi artigianali e mille altre opere che non sono stoffe qualsiasi, ma artworks firmati da artisti che hanno scelto il tessuto come strumento espressivo.
La mostra si apre con l’ambiente site-specific realizzato dal collettivo greco Serapis Maritime Corporation, seguono poi le opere di Pia Camil, Otobong Nkanga, Tschabalala Self, Marinella Senatore, Vladislav Shapovalov e Günes Terkol.

Nell’ambiente site-specific del collettivo greco Serapis Maritime Corporation, un grande murales e grandi cuscini con le loro immagini rimandano all’uomo e alla sua relazione fisica con il lavoro. “Ogni stanza si apre a una riflessione, non un dogma, ma uno stimolo – spiega la curatrice Camilla Mozzato – Temi sociali, globali e di attualità, le rotte inique delle migrazioni e del commercio, le manifestazioni e le lotte dei lavoratori, le trasformazioni sociali e culturali, e proprio perché la riflessione è aperta il percorso si completa con una sala per workshop e iniziative per alimentare l’indagine sull’uso del tessile nelle manifestazioni di dissenso”. Proseguendo, troviamo le sculture tessili della messicana Pia Camil fatti con t-shirt e jeans di seconda mano: si tratta di indumenti prodotti in America Latina per gli Stati Uniti che tornano in Messico, nei mercatini dell’usato, seguendo in fondo quelle che sono le rotte dei migranti rigettati indietro.

Nella sala successiva la nigeriana Otobong Nkanga, apprezzata anche all’ultima Biennale di Venezia, espone arazzi ‘tridimensionali’ che esplorano i cambiamenti sociali e topografici e l’impatto dell’uomo sulla natura, mentre il russo Vladislav Shapovalov, dopo una lunga ricerca al Centro di Documentazione della Camera del Lavoro di Biella, “capitale italiana” dell’industria della lana, ha scovato una serie di bandiere usate durante le manifestazioni dei lavoratori delle fabbriche tessili della metà dell’Ottocento per chiedere maggiori diritti e salari più equi. Quello che emoziona di più sono le piccole firme femminili ricamate su queste bandiere: sono i nomi delle lavoratrici che le hanno realizzate, con dedizione e passione per la causa.

La turca Güneş Terkol inserisce nei suoi arazzi, video e composizioni musicali dedicati alle donne del suo Paese, che rifiutano di adattarsi alle trasformazioni sociali e culturali contemporanee. Completano la mostra i coloratissimi stendardi di Marinella Senatore e i disegni della serie It’s Time to Go Back to Street.

Giulia Ficarola

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