Sono 400mila i lavoratori agricoli in tutte le regioni italiane coinvolti dal caporalato. Una piaga attorno alla quale il giro d'affari è di quasi 5miliardi di euro. Per far fronte a questa emergenza, secondo Romano Magrini, responsabile lavoro di Coldiretti, intervistato dall'AgenSir per i due anni dalla legge 199/2016 che ha introdotto il reato di caporalato, sono da sciogliere due nodi: trasporto e collocamento.
Magrini sostiene che la legge ha già dato buoni risultati – oltre 100 indagati di cui alcuni già in carcere – ma che può essere perfezionata. Sul piano della prevenzione, dice, “si potrebbe ad esempio prevedere una premialità, degli incentivi per le imprese ‘virtuose’ che non sfruttano i lavoratori e scelgono di stare dalla parte della legalità e della trasparenza”. Sul piano del contrasto servono invece “azioni concrete” sul territorio, “ma non è semplice, ci vogliono risorse, ci vuole l’impegno di tutti e non tutti sono d’accordo”. Iniziando dal trasporto. “Uno degli strumenti più efficaci per combattere il caporalato – spiega – è garantire ai braccianti un servizio di trasporto pubblico fino ai campi. Il trasporto di competenza regionale si ferma invece lontano dalle campagne. Per questo viene ‘appaltato’ dai caporali che prelevano i lavoratori dai paesi e li portano nei campi. Prevedere un trasporto pubblico che faccia il giro delle aziende agricole significherebbe tagliare loro le gambe sottraendo loro un business molto redditizio”. Quindi “il nodo del collocamento, ossia dell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro”, ma l’esperto si dice favorevole ad un tavolo per “ragionare e confrontarsi su che cosa possiamo fare di più”.
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